domenica 6 febbraio 2011

L'ACQUA MANUSANTA

Confesso che non sono mai stato all’ Acqua Manusanta forse perché non ce n’è mai stato bisogno impellente in quanto sono cresciuto in epoca in cui, anche se non abbondante, l’acqua potabile era in un modo o l’altro disponibile. Essa sgorgava (non so se ancora) da un piccola fonte giù per la timpa la cui cima è situata in fondo al corso Regina Margherita, direzione nord che guarda nella valle della contrada nominata, anche al Catasto, Santo Rocco Spogliapadrone, sicuramente a causa della eccessiva pendenza e conseguente accentuata sterilità del terreno.
La presenza d’acqua ha condizionato da sempre e in ogni luogo la colonizzazione di nuove terre.
 Quella del centro Sicilia è ugualmente legata alla presenza d’acqua; i Notarbartolo, signori di Sant’Anna, in questa contrada avevano i maggiori interessi in quanto quella terra era molto più fertile rispetto ad altre di loro stesso dominio. L’unica acqua dolce della zona era quella delle Grutti de’ Stanzi, ma sfortunatamente insufficiente per dissetare uomini ed animali appartenenti ad una comunità sia pur piccola.
 Così fu scelto l’attuale sito che era, ed è, ricca d’acqua deci- samente salmastra, ma pur sempre in qualche modo utilizzabile.(*) 
Quand’ero bambino ricordo che alcuni degli antichi pozzi sorgevano anche dentro le case o accostati alle pareti delle stesse; col tempo sono stati coperti e la superficie è stata resa calpestabile.
Fra tanta acqua salmastra la Manusanta manifestava una diversa virtù: faceva cuocere più in fretta i legumi. Mi raccontava mio padre che le mamme mandavano i figlioli a raccogliere quell’acqua per risparmiare tempo e legna nella cottura di lenticchie, ceci e fagioli, decisamente poco cucìvuli.
Intanto, auspico l'intervento attivo di chi è in grado d'aggiungere maggiori particolari al poco che ho scritto. 
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(*) Dal momento che ho accennato alla scelta dell’attuale sito determinata dalla presenza d’acqua dei pozzi, aggiungo che ha favorito tale preferenza anche la vicinanza alla piccola ma fertile chiana di San Franciscu, oggi invaso della diga-lago di Villarosa. Nella sponda est del lago, al di là del ponte che raccorda le due rive, in tempi più antichi sorgeva un convento con annessa chiesa dedicato al Santo che fino a poco tempo fa nominava la piana. È ugualmente supponibile che intorno a questa comunità religiosa doveva necessariamente esisterne un’altra piccolissima di laici, pastori e contadini. Sempre in zona, se non era proprio questo nucleo, sorgeva San Giacomo di Bombunetto, la cui presenza favorì la successiva e tanto contrastata concessione della “licentia populandi”.
Ancora, si ritiene da parte di qualcuno, ma è poco probabile, che la decisione della preferenza per questa località sia stata pure determinata decisamente dal fatto che approssimativamente sul tracciato della odierna SS. 121 passava la regia trazzera Palermo-Catania. Dal nome potrebbe sembrare una vera e propria strada, ma in effetti era un’impraticabile viottolo, fangoso d’inverno e polveroso d’estate, su cui non potevano muoversi carretti ma esclusivamente straguli trainate da animali e solamente nella buona stagione. Ho visto solo una volta da bambino tale mezzo rudimentale di trasporto: era formato da due grosse travi di legno tenute in parallelo da traverse e trascinato da resistenti animali, ovviamente per trasportare covoni di grano o altro da un terreno ad altra destinazione priva di trazzere di congiunzione.

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