giovedì 7 agosto 2014

I deliranti dolori d’a gnura Gàita

                  
Quando ero molto piccolo e abitavo al n. 2 della via Notarianni, ogni tanto si spargeva la voce che c’era in giro a gnura Gàita che, scatenata sulla strada, gridava da ossessa e costituiva un grande pericolo, specialmente per i bambini e i più deboli.
La poverina abitava a circa duecento metri da casa mia; la vedevo talvolta vagare disperatamente a non molta distanza da me e scorgevo mamme, compresa la mia, che richiamavano in casa i figlioli.
Ero troppo piccolo al punto di non poter intendere parole non comuni come “camicia di forza” e “manicomio”, di cui sentivo ripetutamente parlare, ma intuivo che si trattava di significati non apprezzabili.
L’antico ricordo della mia infanzia oggi s’integra con la lettura di un passo dello scritto di Pino D’Alù che, con i suoi tredici anni in più dei miei, ha potuto inquadrare meglio il tragico squilibrio della mente di quella poveretta.
Essa fu una vittima indiretta di quella Prima Guerra Mondiale che causò la morte prematura di 600.000 italiani e di molti ancora delle diverse altre nazionalità coinvolte in essa.
La povera gnura Gàita, pur rimanendo in vita, fu ugualmente un’altra vittima, fuori dalla conta sol perché tangibilmente non deceduta.
Aveva appena sposato l’amato uomo, quando questi subito dopo fu chiamato alle armi in quella stessa guerra. La giovane moglie, lasciata incinta, divenne madre, ma non poté mai più rivedere l’adorato marito, né lo stesso poté mai abbracciare la figliola, frutto del loro brevissimo amore.
Poverina ne aspettava il ritorno quando le giunse invece lo struggente annuncio, comunicato senza che sia stato messo in pratica il minimo di tatto e d’umana sensibilità, che il consorte era perito in guerra.
La devastante formale notifica mise ancor più in corto circuito il sistema nervoso della meschina che da quel momento non fu più la stessa per il resto della sua esistenza.
A gnura Gàita era pure la nonna di Fifuzzu Lentini che, come me, è ritratto nel gruppo della foto, che ho pubblicato più volte su internet, come ricordo della Prima Comunione dei ragazzi del 1941della nostra Chiesa Madre.
Le pene per l’infelice matura donna non erano finite. Solo due anni dopo quel mattino di maggio, fulgido di gioia religiosa, la Sicilia fu invasa dalle truppe anglo-americane. A Villarosa le truppe occupanti statunitensi si accamparono nell’ampio spiazzo della futura Villanova, ove oggi sorge la scuola e la retrostante area dove più tardi ancora sarà costruito il cosiddetto Asilo Nido, mai destinato allo scopo prestabilito.
Dei fatti che seguono Pino D’Alù non poteva essere al corrente perché anche lui in quel tempo era prigioniero della Seconda Guerra Mondiale in campi di concentramento sparsi per gli USA.
Erano tempi duri e a molti mancava quasi tutto. Tanti ragazzi, per curiosità e soprattutto per bisogno, andavano a visitare il campo dei militari nemici, che ostentavano un tenore di vita molto più agiato dei già noti nostri soldati, per ottenere principalmente qualcosa da mangiare. La visita non era infruttuosa perché il più delle volte ritornavano a casa con le mani piene di caramelle, qualche scatoletta di carne o altro cibo secco da sgranocchiare. (1) Fra costoro c’era il novenne Fifuzzu, che, da quel luogo per lui tragico, non tornò più a casa con i suoi piedi: si disse, ufficialmente, che era stato colpito a morte al cervello dallo scoppio di una bomba a mano che egli avrebbe rinvenuto e incautamente maneggiato. Io che ero coetaneo e conoscente del povero sciagurato, ero sempre interessato a raccogliere notizie sulla sua triste sorte e qualche tempo dopo appresi dal signor Giuseppe Bongiorno, detto u Cadettu, che la ferita di Fifuzzu non era scaturita da uno squarcio al capo, caratteristico di una scheggia, ma da un piccolo tondo foro tipico di una pallottola. (2)
Lascio immaginare lo scombussolamento riversato in quella casa di provate ricorrenti sventure: la mamma del piccolo già orfana della Prima Guerra, col marito ancora prigioniero per la Seconda, e per di più disperata per la mamma sempre squilibrata a causa degli insistenti dolori che la colpivano.
A tanto ora si aggiungeva l’irreparabile perdita del loro unico tenero bene…
Altra guerra, altra tragedia, altra occasione perché la poveretta, vedova e nonna, non ritrovasse più il senno, fino al termine dei suoi giorni, sempre più annientata nei sentimenti più intimi.
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(1)      Prima dell’invasione nemica nei nostri due Corsi sostavano spesso colonne di autocarri militari e avevo sentito più volte ripetere la nota richiesta: - Milità, ma duna na pagnotta? Non vidi però mai passarne una dalla mano di un nostro soldato a quella di un ragazzino.
(2)      L’ipotesi del colpo sparato da qualche soldato ubriaco non è inverosimile, perché è di quegli stessi giorni l’uguale spacconata d’un soldato di colore che sparò dalla jeep un colpo di fucile che sfiorò per puro miracolo la maestra Jole Gallo, affacciata alla finestra dell’ultimo piano, soprastante più o meno la tabaccheria Cammarata.


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