giovedì 18 marzo 2010

Cchi ddici Pitru Caceci?


[Pitru è il 2° da sinistra con maglietta a righe orizzontali]

Mio zio Luigi emigrò negli Stati Uniti d’America nel 1948.
Raggiungere quel Paese allora era il sogno di quasi tutti gli italiani perché quell’alto indice di benessere era ben noto ed agognato, ma non era possibile per via di una politica d’immigrazione molto contenuta.
Lo zio poté perché era sposo d’una villarosana, cittadina americana, nata in quel paese e rientrata piccolissima in Italia con i genitori.
Zio Luigi aveva lasciato nella sua terra natìa gli affetti più cari: la vecchia madre, il fratello, le sorelle e tanti nipoti. Allora partire per l’America voleva dire dividersi “mmivinzia” e infatti non potè rivedere più la sua vecchietta.
Dieci anni dopo ci annunciò, per mezzo della solita comune lettera, una sorpresa: ci aveva spedito la sua voce registrata su un piccolo disco, di pochi minuti di durata, inciso a 78 giri. Parlare a telefono era pressochè improbabile, anche se teoricamente possibile. Non esisteva ancora nei piccoli centri una rete telefonica e l’unico posto per telefonare era all’Ufficio Postale, ma non sentii mai dire che qualcuno se ne fosse servito per parlare con l’estero.
L’emozione fu immensa perché la tecnica non solo ci faceva ascoltare canzoni ma anche la voce d’una persona cara da un’altra parte del mondo.
Da poco avevamo comprato il giradischi e così ci predisponemmo a riprodurre l’inusitato messaggio a famiglie riunite e trepidanti.
Mamma Paolina, (così chiamavamo la nonna), saggia per tanti dolori, ultimo la perdita in guerra del figlio Peppino, era l’unica che riusciva a contenere le sue emozioni.
Cominciò la riproduzione, la voce dello zio tradiva un groppo alla gola. Le sue espressioni, generiche per breve tempo, subito si rivolsero alla vecchia madre (forse presagiva che non l’avrebbe mai più rivista). I pochi restanti minuti li dedico al fratello e alle due sorelle, citò ad uno ad uno noi nipoti, a cominciare da me ch’ero il più grande…
I nostri occhi andavano alla puntina del giradischi e avremmo voluto che essa non s’arrestasse… Si era agli ultimi istanti, lo zio non aveva nessuno più da citare, quando proprio sull’ultimo solco, l’udimmo esclamare di botto:
- Cchi dici Pitru Caceci?
Il clic inesorabile chiuse il caro monologo.
L’emozione ci aveva preso, la voce del caro parente s’era spenta nell’ altoparlante, ci guardavamo in viso tra la felicità d’averlo sentito quasi vicino e la tristezza di saperlo sempre lontano.
Quando più tardi si arrivò ai commenti, qualcuno fra noi chiese che cosa ci potesse entrare nei fatti di famiglia Pitru Caceci. Mio padre, che conosceva il fratello più di noi, spiegò la “sparata” dello zio come un modo di stemperare la tensione ch’era in lui e quell’altra che le sue parole avrebbero scatenato a Villarosa.
C’era riuscito benissimo, perché lo stesso effetto non l’avrebbe raggiunto se per caso, per coinvolgere la comunità villarosana, avesse chiesto notizie, che so, … del Sindaco, quale primo cittadino e rappresentante della città tutta.
Pitru Caceci era la persona più nota di Villarosa, più della Giunta Comunale, del Clero tutto, del maresciallo dei Carabinieri, del Pretore, ….
Qualcuno, a buon diritto, si chiederà: - Ma chi era questo Pitru Caceci?
Era l’uomo più simpatico, più gioviale, più amico ed anche più buono di tutti i villarosani.
La natura aveva negato a Pitru il “ben dell’intelletto”, ma gli aveva donato un cuore grande, generoso senza attesa di ricompensa.
Di solito non camminava come tutti; correva, cantava, interloquiva con chiunque incontrasse. Le canzoni erano tutte di sua creazione e s’intuiva in esse una certa rassomiglianza con le più note in voga.
Salutava tutti e “scummattiva a tutti”. Nessuno si sarebbe permesso di mancargli di rispetto perché non lo meritava, ma anche perché da buono sarebbe diventato tutt’altra persona…
Ovviamente nei tempi in cui visse non esistevano scuole per tutti gli individui delle sue condizioni, quindi era analfabeta puro, in tutti i sensi.
Quand’era libero da impegni di lavoro, andava alla fermata degli autobus e se scendeva un villarosano con una o più valige se le caricava e l’accompagnava a casa. Se gli davano dieci lire se le prendeva, altrimenti poteva chiedere una sigaretta e non più di tanto.
Nel 1943, all’arrivo degli americani, Pitru divenne l’amico anche di loro a prescindere della cioccolata, delle sigarette Lucky Strike e di qualche scatoletta di “Meath vegetable stew”…
Quelli gli parlavano in americano e Pitru senza scomporsi colse subito il tono di quella lingua e s’inventò un “grammelot” personale, che per chi non conoscesse l’inglese o Pitru, poteva credere che il nostro avesse imparato a parlare la nuova lingua solo col frequentare gli americani.
Anni dopo provai a chiedergli:
Pitru, quantu fanu cincu ppi cincu, e lui di botto, Quaranta.
Bravu Pitru!
E sei ppi sei, e lui ancora, vinti….
Tutti ridevamo e lui con noi, felice e soddisfatto che la risposta fosse ineccepibile.
Era un instancabile uomo di fatica, soprattutto perché lavorava in allegria.
Una nota famiglia di Villarosa, che cominciò le sue fortune con l’autotrasporto, lo utilizzava nei lavori di carico e scarico, assicurandolo regolarmente per consentirgli d’avere una discreta pensione in vecchiaia. (Allora per i disabili non c’era nessun aiuto, erano un problema esclusivo delle famiglie di provenienza!)
Una sera d’autunno del dopoguerra il camion della ditta tornava da Catania con un carico di merce varia; la cabina era piena e a Pitru toccò di salire sul cassone. All’improvviso si scatenò una tempesta con lampi e tuoni da far paura; l’autista non si preoccupò tanto per Pitru perché sapeva che allo scoperto c’erano a disposizione i teloni che coprivano le merci.
Arrivati a Villarosa in garage chiamarono Pitru che non scendeva dal cassone e cominciarono a preoccuparsi seriamente. Cominciarono a temere il peggio, averlo perso in qualche brutta curva, essere scivolato dalla sponda, essersi fatto del male in qualche modo…
Tristi pensieri attraversarono la mente dell’autista e degli altri della cabina; non sapevano decidersi sul da farsi.
Essi tornarono a rovistare fra le merci: non c’era ombra d’un corpo umano.
Si stavano allontanando per andare a riferire e chiedere consiglio al proprietario dell’automezzo, quando, nel silenzio della tarda serata e dall’atmosfera tombale di quella maledetta giornata, udirono provenire dal cassone uno strano rumore; tornarono indietro e videro sollevarsi il coperchio di una cassa da morto nuova che dovevano consegnare a Villarosa. Trattennero il fiato; apparve Pitru in ginocchio sul fondo della bara che uscendo dal sopore d’un sonno ristoratore si stiracchiava e si sgranchiva.
A Villarosa ci si chiedeva spesso chi era l’uomo più felice e sulla risposta non c’erano dubbi.
Un uomo così, non è un essere qualsiasi; per tronfi e boriosi se tali individui non esistessero il mondo sarebbe lo stesso; per persone umane e sensibili in costoro si può anche vedere un disegno del Creatore.
Pitru, Caceci non era il suo cognome, non era solo al mondo; alle sue spalle aveva una famiglia che lo amava.
L’emigrazione divenne pure una necessità per Pitru; essa non colpì direttamente lui ma le sue sorelle, le quali non potendolo lasciare solo nel mondo che gli era più congeniale, lo portarono con loro in Belgio.
Ci chiedevamo a Villarosa come poteva essere la vita di Pitru in terra del Nord e si conveniva che la sua esistenza doveva essere necessariamente triste.
Le notizie che davano i paesani di lui non erano incoraggianti.
Un giorno spuntò a Villarosa Pitru. Non era più lui, era uno zombi che faceva brevi apparizioni, senza vitalità, né sorrisi, nè canzoni, … Niente! Un uomo spento s’aggirava per la piazza e le vie che furono il suo mondo.
Poi non si vide più. Poco tempo dopo giunse la notizia ch’era nell’aria: Pitru era morto.
Un’altra vittima, come Carmina a Camiola, dell’emigrazione: un emigrato per forza, in un domicilio coatto, sradicato dal suo humus sociale e in un mondo che non poteva essere decisamente il suo.

5 commenti:

  1. Il ricordo di "Pitru", emozionante.
    Complimenti. Guido.

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  2. La mente a questo serve. I ricordi danno vita al passato ,è storia per i giovani i quali non hanno avuto la FORTUNA di godere la pura
    gioia fatta di profumi di angoli di uomini unici che come attori recitavano per farci contenti,e silenzisamente si sentira sempre parlare di loro.

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  3. Complimenti ad osvaldo per la storia di Pitru Caceci.

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  4. Complimenti ad Osvaldo che ci ha raccontato la storia di Pitru (Caceci)che mi ha commosso tanto. L'ho conosciuto perché abitavamo nella stessa via (Poeta, nel "Chianu di Giugnu"), avevo più o meno undici anni. Ogni volta che lo incontravo mi parlava come se fossi un uomo adulto e mi faceva vedere il suo nuovo accendino. Era un collezionista. Era tutto contento vedendomi entusiasta davanti a tutti questi oggetti. Ciao a tutti Villarosani di Villarosa e del mondo. Calogero Ferrante (Belgio, Liegi)

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  5. pitru.estato.un.uomo.singero.e.buono.era.sembre.allegro.ma-la.cumunita.di.villarosa.era.con.lui.un.po.cattivello.lo.conosciuto.che.lui.lavorava.con.i.camion.di.salvaggio.che.avevano.una.miniera..di.zolfo.e.anche.un.cinema.e.pitru.faceva.il.caricatore.e.scaricatore.lui.portava.i.cartelloni.del.titolodei.filmi.in.piazza.cosi.le.persone.vedevano.che.film..facevano.dopo.alla.sera.andava.a.ritirarli.e.cosi.poi.lo.facevano.entrare.gratis.al.cinema.il.mio.gruppo.di.amici.lo.rispettavamo.e.lo.chiamavamo.compa.pitru.e.lui.era.felice.a.parlare.con.noi.a.volti.le.domandavamo.cumpa.pii.guando.kilometri.ci.sono.da.villarosa.a.enna.e.lui.subito.rispondeva.allandata.27..a.ritorno.13.perche.vedeva.che.allanda-ci.mettevano.piu.tempo.perche.era.salita.a.ritorno.era,disciesa.e.arrivavano.prima..pitru.era.un.buono...buono..ri posa.in.pace.ai.merittato.in.terra.il.tuo.paradiso....in.cielo.....M.F:.torino

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