domenica 21 marzo 2010

COME DONNA CLOTILDE SALVÒ IL SUO MATRIMONIO - Parte I


PARTE PRIMA

Ricordo che già frequentavo le prime classi della scuola media.
Si festeggiava a casa mia un compleanno; i più grandi, seduti a un angolo della stanza, commentavano un fatto accaduto di fresco in paese. Lo facevano con cautela in modo che io, intento a leggere un album di Topolino, non capissi. In effetti non riuscii a captare nulla.
Quando però zio Peppino, per una certa analogia con l’avvenimento in discussione, introdusse l’argomento di un antico episodio capitato in paese durante la sua prima giovinezza, che fece molto scalpore, la circospezione venne meno.
Quello che ascoltai sul caso mi colpì fortemente tanto che restò impresso nella mia memoria, compreso il cognome del protagonista maschile, un “galantuomo” villarosano, e il nome della moglie.
La storia che mi accingo a esporre nel tempo si è incrociata con una molto simile, quella di Matirda raccontata da Vincenzo De Simone nel suo bellissimo libro di “Bellarrosa: Uomo Serio!”. Notai subito che c’era una forte corrispondenza tra il fatto raccontato da zio Peppino e quello esposto nel libro.
Bella e affascinante la vicenda di Matirda, nella cui novella si leggono bellissime descrizioni dei tempi più antichi; il contrasto di mentalità e religiosità fra i due mondi sociali, il contadino e quello zolfifero; vi sono citati i luoghi originari, le usanze rigide dei matrimoni secondo il ceto degli sposi, e tante altre interessanti notizie. I protagonisti della storia del De Simone non sono borghesi, sono zolfatai e contadini. I tempi dei due fatti appaiono pressoché contemporanei; ma mi sembra poco probabile che si tratti di due episodi diversi, coevi e simili fino a quasi coincidere.
Curioso per tale coincidenza chiesi notizie sull’episodio di Matirda allo zio Peppino che rispose di non aver mai sentito parlare di tale storia con protagonisti popolari e convalidò il mio ricordo di ragazzino, anzi vi aggiunse tanti nuovi particolari. Il vecchietto mi precisò che per tanti anni seguenti si continuò maliziosamente a parlare della crisi matrimoniale, ben risolta, dei personaggi in vista in paese; che essi erano assai più anziani di lui, ma che ebbe modo di conoscere, anche se solo di vista.
Sono anni che mi chiedo: perché il nostro maggior poeta non ha raccontato i fatti reali?
Solo da quando ho cominciato a raccontare fatti di villarosani, ho sperimentato di persona la difficoltà che avrà avuto il poeta a citare un episodio piccante e poco edificante, con precisi riferimenti a protagonisti “galantuomini”, assai influenti nella comunità cittadina.
Per evitare rogne don Vincenzo ha preferito vestirli, opportunamente, con i modesti panni di zolfatai e contadini.
Con la stessa precauzione indicherò i maggiori protagonisti come don Bartolo e donna Clotilde.
Il lettore ha tre possibilità: se vuole leggere una bella novella scritta da un letterato raffinato, assapori la vicenda di Matirda [il volume si trova nella biblioteca comunale]; se vuole conoscere un fatto borghese ma reale si accosti all’antico ricordo di zio Peppino da me rivisitato; se vuole leggerli entrambi, non farà nessun male né sgarbo ad alcuno.
Bartolo unico rampollo maschile di famiglia benestante crebbe un po’ scapestrato e cerca rogne. Amava il lusso, le belle donne e i viaggi. Era stato a Parigi da turista e ne era rimasto incantato tanto che ne parlava a iosa agli amici che non erano stati più lontano di Palermo. Per questo lo chiamavano il “parigino”.
La famiglia era facoltosa ma viveva sobriamente; il padre curava gli interessi delle sue terre, la madre soprintendeva con cura al lavoro delle serve di casa, le sorelle molto ritirate passavano le giornate fra ricamo e Chiesa.
La seducente vita di Bartolo qualche volta riservava qualche triste sviluppo quando ad esempio lasciava a rotta di collo il paese o altre volte era costretto a rimanere a letto o in poltrona per “una caduta per le scale di casa”. Gli amici, e non i soli, traducevano che qualche padre o fratello di una sua conquista o di una destinataria di un tentato malaccorto approccio “cci aviva ammaccatu u ippuni”.
La famiglia tutta temeva il peggio e non faceva sonni tranquilli. A queste paure si aggiungeva il fattore economico; non c’erano soldi che bastassero al “parigino”, così quando non aveva la faccia di andare a bussare al portafoglio di papà o la madre che lo foraggiava sottobanco gli allargava le braccia, firmava cambiali. Tante volte il povero padre, vergognandosi di tale figlio, ne aveva onorate le firme.
Tutti convenivano nell’idea che per lui ci voleva una brava moglie che lo tenesse più vicino al focolare domestico piuttosto che nei luoghi equivoci del lupanare e che lo facesse smettere di andare per tetti come gatto in amore.
Tutto il parentado di Villarosa e di fuori fu informato del loro assillante problema e si chiedeva loro di “ammiari” non solo un buon partito di pari ceto sociale ed economico, ma una donna di polso e intelligente che fosse in grado di tenere vicino a lei lo sposo, allontanandolo dalle indecorose abitudini di gioventù.
La proposta più possibile fu quella degli zii di Castrogiovanni che vedevano nella giovane Clotilde, appartenente a una facoltosa famiglia locale, la donna adatta a tenere a bada uno sfrenato come Bartolo.
Le pari condizioni socio-economiche delle due famiglie favorirono l’intesa, che trovò consenzienti anche i due giovani.
Sia all’uno che all’altra non mancavano doti fisiche attraenti. Quelle di Bartolo erano sperimentate, considerato il successo che aveva avuto con le donne; Clotilde era d’una bellezza tipica della città d’origine, di carnagione chiara, occhi castani, capelli tendenti leggermente al rosso, altezza tale da “stare a spalla” al promesso sposo.
All’aria sbarazzina di Bartolo si contrapponevano la posatezza e lo sguardo vivo della fidanzata. Clotilde aveva avuto precisi ragguagli sulla circostanza che il promesso sposo non aveva rigato dritto in gioventù, ma non si perdette d’animo: si sentiva certa di poter controllare ogni situazione critica.
Ciascuno dei due ebbe come dote dalle rispettive famiglie un ottimo patrimonio, in terre fertili, case e moneta contante: la dote di Bartolo era superiore a quella delle sorelle, messe insieme; eccellente anche quella di Clotilde perché i suoi genitori non avevano avuto la benedizione di un figlio maschio che perpetuasse il cognome di famiglia.
Il matrimonio si celebrò sfarzosamente a Castrogiovanni e fu un avvenimento non comune per quella città; l’eco che ebbe a Villarosa fu strabiliante: tutto il paese fremeva di vedere a passeggio la coppia di cui tanto si favoleggiava.
I villarosani dovettero aspettare un bel po’ perché gli sposi partirono subito per il viaggio di nozze che li portò per le più belle città d’Italia e d’Europa, ovviamente con una più lunga sosta a Parigi.
Al rientro gli sposi furono avari di mostrarsi in pubblico, ma non potevano sottrarsi allo sguardo dei cittadini la domenica all’uscita dalla Chiesa dopo la Santa Messa. I commenti dei villarosani furono benevoli nei riguardi di donna Clotilde che col portamento signorile e maestoso sbalordì i semplici paesani. Il commento dei più maliziosi fu orientato verso Bartolo che per la prima volta si vedeva uscire dalla chiesa, lui che frequentava di solito luoghi innominabili. Qualcuno scommetteva che quell’idilliaco quadretto sarebbe durato qualche mese, altri erano certi che con una donna tanto bella quel rompicollo avrebbe messo la testa a posto.
Le famiglie degli sposi di mese in mese aspettavano il gioioso annuncio di “nova rreda”. Passavano i mesi e non succedeva niente.
Al Circolo dei Civili Bartolo non si vide per più di un mese; poi cominciò a frequentare ma si accostava poco ai tavoli da gioco.
A casa la notte rientrava tardi e giustificava tali orari inconsueti per un novello sposo con le lunghe e accese discussioni con gli amici al Circolo, d’inverno attorno alla stufa, d’estate fra le frescure del giardino del Circolo. [Il ritrovo dei Civili in quel tempo sorgeva dove oggi c’è il Municipio; negli anni ’30 il Circolo fu requisito, abbattuto e sull’area fu costruita la Casa del Fascio, che nel ’43, con la caduta del Fascismo, divenne il Municipio della Città; l’annesso giardino iniziava a ridosso del fabbricato e si estendeva dall’odierna Piazza Umberto I, all’area del plesso scolastico “Silvio Pellico” e fino alla piazza “Vittorio Veneto” dov’è sistemato il busto di Vincenzo De Simone].
Don Bartolo giustificava la sua freddezza sessuale col fatto che trovava la moglie addormentata. In effetti la poverina fingeva di dormire.
[continua]

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