giovedì 1 luglio 2010

UNA CLASSE NUMEROSA DI CITTADINI REIETTI


Erano tristi i tempi passati, specialmente per i poveri, gli sfortunati disabili, gli invalidi del lavoro, i lavoratori giornalieri che d'inverno facevano la fame.
 Prima d'introdurre una breve storia in cui è vittima un gallina, il protagonista umano mi induce a ricordare che, in aggiunta alla sua povertà, c'era quella di trovatello, “pigliatu do turnu”. La sua condizione, più triste di quella dell'orfano che pur infelice risultava legittimo, il trovatello invece era spesso messo al mondo a seguito di abusi sessuali a danno di povere ragazze, in genere servette di case patrizie. L'antica usanza feudale del “jus primae noctis” anche se ufficialmente non sussisteva più, sotto sotto era sempre vigente fra i nobili e ad essi s’erano aggiunti i borghesi più facoltosi.
I frutti di questi soprusi nottetempo venivano depositati presso qualche badìa. L'incaricato (conoscevo un uomo di fuori il cui nomignolo era “giralarota” e una donna di Villarosa chiamata “a turnara”, “ngiulii ereditate da familiari che avevano questo  compito), faceva girare una ruota e davanti a sé all'esterno gli arrivava un piccolo ricettacolo a guisa di culletta atto a contenere un neonato; quindi suonava il campanaccio del portone e attendeva che una monaca rigirasse la ruota e portasse dentro al riparo il pargoletto.
 Queste povere creaturine, considerate frutto del peccato, erano rifiutate per una serie di necessità da chi l'aveva messe al mondo  e poi accolti come appestati dalla comunità umana, legittimata dai crismi dell'ipocrisia imperante.
La gente li chiamava “muli”, e anche ”, “prujetti”, “mulacciuna”.
Ricordo un giovane padre di famiglia robusto e muscoloso, uno dei primi a lasciare il paese nel dopoguerra, che non aveva cognome per i villarosani, per tutti era “Cicciu u mulu”.
  Un altro poveretto, grande invalido cieco della Grande Guerra, non era chiamato col suo cognome da legittimato, ma per tutti era indicato ancora come “u proiettu”.
Io ragazzo confondevo quel nomignolo con la parola “puietu”, poeta.
Quando fui più grande mi chiedevo perchè non partecipasse a nessuna delle gare di poesia, che allora erano più in voga a Villarosa, e scoprii che il suo era uno sprezzante nomignolo che indicava lo stato di “rifiutato, abbandonato, lanciato, buttato”.
Di questi esempi se ne potrebbero citare a decine.
Tutto ciò non era solamente un problema di forma, ma di sostanza: c'era un comune disprezzo per questi sfortunati nostri fratelli. Non sentii mai levare una voce in loro favore da nessun pulpito o cattedra: disconosciuti da quelli che li misero al mondo e reietti della società che li accoglieva.
Raccontava mia nonna che molti di questi poveretti disprezzati nel loro paese, quando riuscirono ad emigrare negli USA non diedero più nessuna notizia di sé. I sapientoni locali commentavano questa comprensibile risoluzione con un detto allora comune: “Puru cche muli cci voli furtuna”.
 Ad onor del vero bisogna dire che i casi di disprezzo dell'affiliato non erano la totalità, almeno in famiglia. Gli affiliati della mia generazione erano più integrati in casa e in tantissime non si notava affatto la differenza: conosco qualche caso in cui un occhio particolare era riservato al figlio non di sangue.
  Purtroppo in molte altre famiglie i figli legittimi mal sopportavano il trovatello. Ricordo il caso di Gino, grande lavoratore e “figliolo” amato dai genitori affilianti, ma disprezzato dal figlio legittimo di casa che lo indicava a tutti come “u mulu”; un altro che portava il cognome di fantasia d'uno splendido fiore fu tutelato dal padre adottivo col lascito d'una modestissima casetta. Gli eredi legittimi aspettavano la sua morte per riprendersi il possesso dell'immobile. Il  triste giorno giunse, i voraci "parenti" si diedero da fare per riacquistare ciò che apparteneva alla famiglia, ma legalmente la richiesta non potè essere presa in considerazione perchè non risultava col defunto nessuna forma legale di parentela e in mancanza di testamento fu lo Stato ad ereditare.
Gli stessi cognomi talvolta denotano ancora oggi un'antica triste condizione: Proietti, Trovato, Esposito, ecc...
Oggi, ad esempio, non facciamo caso a tantissimi cognomi al femminile: erano i figli d'una “criata” di casa che col permesso del padrone, padre inconfessato, tratteneva il bimbo fra la servitù e al battesimo la creatura era registrata col cognome ricavato dal nome della madre.
  Quelli deposti in qualche istituto venivano affidati a coppie senza figli o a poveretti che per un misero sussidio da parte della Prefettura se li tenevano in casa per affidarli come “carusi” a un picconiere o per fruire, dopo i primissimi anni, dell' aiuto nel lavoro del campicello.
Mi fermo qui; in seguito tratterò di Peppi e della triste sorte… d’una gallina.

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