venerdì 29 dicembre 2017

NOTA: Un nostro concittadino, avanzatissimo in anni, quanto lucidissimo di cervello, leggendo il presente post ha notato un mio errore di distrazione nello scambiare la posizione di due vie, fra loro parallele, Ferruccio con Capponi. Così gentilmente me lo ha segnalato. Tanto mi riempie di soddisfazione e lo ringrazio immensamente, compiacendomi nello stesso tempo della sua precisa capacità di attenzione: egli mi legge a migliaia di Km di distanza dal comune nostro paesello natale, dal quale da tantissimi anni è assente.
Lo ringrazio tanto e me ne compiaccio altrettanto per avermi dato una tirata benevola di orecchio. 
Intanto invito i residenti e me stesso, in prima linea, di stare più attenti a correggere gli errori di distrazione e non. 
Grazie ancora al lontano lettore e a tutti quanti amano il proprio paese. 
Buon anno a tutti.



U PONTI CARAMANNA

Fino a qualche decennio fa era indicato con tale denominazione un comunissimo ponticello sul Corso Garibaldi, sotto il quale scorrevano le acque  convogliate dalla via Ferruccio, che si immettevano nella via Mastro Silivestre. [sic: la seconda i non è stato un errore di battitura, essa è contenuta nella la targa, scolpita in pietra grigia uguale a tutte le altre in paese, che maldestramente è stata coperta, di recente e in parte, dal tubo di scarico delle acque dell'edificio stesso, sul quale essa è murata: il nome, con la seconda "i" ovviamente è un termine dialettale antico, perché non ho mai sentito pronunciare a nessuno il nome così come sta scritto]
Quando quest'ultima via fu raccordata, con la creazione di un lieve piano inclinato, con il Corso Garibaldi, non ci fu più motivo di mantenere la parte in muratura del piccolo parapetto del ponte.
In fondo al pendio naturale, le acque svoltavano, a destra per pendenza, lungo il vallone di contrada "Santo Rocco"; a tal proposito, ritengo atto storicamente utile, sottolineare che tale nome, negli atti pubblici, si completa con l'aggiunta di "spoglia padrone": con questa precisazione gli antichi vollero rilevare la natura aspra e arida del terreno, nel quale ogni lavoro destinatogli risulta inevitabilmente sprecato.
A sinistra aveva inizio l'irta trazzera, detta "da figuredda", che porta alla strada provinciale che conduce a Villapriolo. 
Lo stradale continua ben oltre: verso Alimena (Armena), le Petralie e alle Madonie (al momento fuori uso); a nord-est porta a Cacchiamo (Guacchiamu), Villadoro (Passariddu), Nicosia (Nicusì) ...
A sinistra dello sbocco sulla strada provinciale esiste una seconda figuredda, tutte e due però oggi sono pressoché ignorate, ma non sono state erette in modo casuale: erano il riferimento votivo della religiosità di lavoratori minerari e agricoli che vi transitavano.
Nella nostra epoca dell’automobile, la vecchia trazzera oggi è diventata carrozzabile, ma rimane ugualmente poco frequentata, perché in irta salita: in antico era un'arteria molto trafficata, specialmente in due cruciali momenti della giornata, alba e tramonto, escluse le domeniche e le feste comandate.
Al primo albore del giorno e ancor prima che sorgesse il sole, vi si arrampicava una massa umana di capumastri, pirriatura, armatura, arditura, scarcaratura, panuttara, seguiti da una frotta di carusi, mal coperti, malnutriti, scavuzi e 'nchiagati di rùsuli; tutti insieme si avviavano alle numerosissime miniere di zolfo che sorgevano intorno a Respica-Giurfo, con predominanza verso la zona est della montagna.
Poco più tardi erano i viddrani, in numero inferiore, che salivano per l’erta, fangosa o polverosa, a seconda della stagione per raggiungere Pampiniddru, l’Ariazza, u Vigliu, u Giurfu, San Giuguanniddru...
Se un tempo San Calogero era il limite estremo dell’abitato, il ponte Caramanna aveva pure una certa rilevanza in paese, perché ne segnava la periferia per quanto riguarda il lato nord, infatti a parte qualche casa sul corso, alle spalle c’erano campi coltivati.



                         Zona del ponte Caramanna, dopo il 1930, anno d'installazione 
                                                della corrente elettrica a Villarosa


La prima traversa visibile a sinistra è la via Capponi; al posto della vecchia costruzione in ombra che la precede, oggi sorge il negozio di generi alimentari della famiglia Restivo.
L'impraticabilità dei marciapiedi e la quasi assenza di automobili in transito (è visibile solamente in discesa un furgoncino) induce i passanti a servirsi del fondo stradale, com'è ben testimoniato ancora dalla foto.
Verso sera moltissimi cittadini uscivano da casa per andare in piazza, dove incontravano amici e conoscenti. Quando il buon tempo permetteva, allungavano la passeggiata oltre la piazza fino al ponte Caramanna, senza oltrepassare la pur leggera salita che di lì iniziava.
Ancora oggi, ma meno degli anni passati, la dizione "ponti Caramanna" continua a essere usata.
Io non ho conosciuto nessun Caramanna, né ho avuta notizia da parte di anziani della mia giovinezza che abbiano conosciuto un solo nostro concittadino con tale cognome.
Era usanza nei tempi passati che si assegnassero nomi alle strade a seconda del borghese o politico più ragguardevole che vi aveva abitato. Per fare un solo esempio, che potrebbe sembrare improprio, la via Milano non fu intitolata al capoluogo lombardo ma a una famiglia di cui ho conosciuto un solo rappresentante, don Ciccio: un altro rappresentante della stessa famiglia Milano fu più volte sindaco di Villarosa: nessun Caramanna però fece parte della toponomastica ufficiale del paese
Voglio citare un ordinario evento di cui fui involontario testimone circa venticinque d’anni fa.
Tornavo da scuola a piedi, com'era mia consuetudine; era l’ora di pranzo e i marciapiedi del Corso Garibaldi erano quasi deserti; avevo appena superato la traversa di via Mastro Silivestre, quando si accostò al marciapiede un’auto; il giovane che era alla guida mi apostrofò molto garbatamente e mi chiese dove si trovasse il ponte Caramanna.
Risposi che lo avevano appena attraversato, pochi metri prima.
Precisai subito che qualche decennio precedente era stato eliminato il parapetto che lo rendeva visibile.
Accanto al guidatore era seduta un’anziana signora che, sorridendomi, mi disse:
 - Caramanna era mio nonno.

 Ringraziarono, salutarono e l’auto, targata Ragusa, proseguì la marcia in direzione Palermo.

domenica 8 gennaio 2017

U MMIRNU JÈ NFIRNU     

        Al primo segno di freddo d’autunno si era soliti dire: “Prima di Natali né friddu né fami, duppu Natali lu friddu e la fami”.
       Infatti si dice che l’Epifania tutte le feste porta via: e … ci lascia il freddo.
       Questa Befana, datata 2017, si sarà trovata immersa anch’ella nella presente crisi economica e ha voluto far gioire i bimbi con l’abbondante, quanto gratuita, nevicata che non si vedeva da diversi anni.
        Il detto ripetuto spesso da mia nonna Angelina che è citato nel titolo, a me bambino non suonava correttamente, perché vi trovavo una stridente contraddizione: l’inverno freddo non poteva avere nulla a che fare con le fiamme dell’Inferno, minacciato a tutti i cattivi del mondo.
        Crescendo, d’anno in anno, rielaboravo il detto della nonna sopra citato e intuivo che un nesso c’era: se l’Inferno è un terribile tormento, altrettanto lo sono la fame, le disgrazie, il malessere e ogni altra privazione di generi di assoluta necessità.
          Intanto i tempi miglioravano d’anno in anno e lasciavamo indietro le antiche tristezze economiche e, in particolare quelle belliche.
         La nonna era sensibile ai bisogni dei poveri e di ogni altro sventurato. Fu lei che per prima mi parlò dei ragazzini infreddoliti, malnutriti e spesso piangenti che già prima dell’alba lasciavano il calduccio del misero giaciglio nel freddo pianterreno, u catuiu, per andarsi ad infilare nel buco che portava sottoterra e caricarsi sulle gracili e macilente spalle u stirraturi, pieno di dure pietre per portarle dal profondo buio alla luce del giorno. Questi ragazzi guadagnavano qualche soldino che potavano a casa perché avevano un fisico normale per affrontare, col carico addosso, la risalita dalle viscere della terra.
         Tanti altri deboli maschietti e le femmine in genere che non potevano consegnare a mamma un pur misero guadagno, pativano pure loro la triste povertà dei tempi.
         Nelle case di questa umana gente non esistevano riscaldamenti, non dico come quelli odierni, ma nemmeno gli antichi bracieri, a cunculina, o lo scaldino, u tanginu.
       La mancanza di tale minimo conforto, di un’adeguata alimentazione, e conseguentemente di vitamine, favorivano il formarsi alle estremità corporali, maggiormente nei piedi, dei geloni, i rùsuli, che erano, e forse ancor sono, delle tormentose infiammazioni, che finivano col trasformarsi in piaghe dolenti.
          Mi raccontava pure papà che molti ragazzi, disperati per tali stagionali sofferenze, escogitavano strambi, quanto crudeli modi, per cercare scioccamente di scacciarle.
         Le vecchiette, sole in casa, nel clima freddo dell’inverno andavano a letto presto per trovare conforto fisico accovacciate nel loro scarno giaciglio.
        Al contrario i ragazzi si soffermavano ancora insieme sulla via per trarne una comune distrazione alla sofferenza con giochi e monellerie varie.
        Era frequente fra i ragazzi la bizzarra opinione che i propri geloni si potessero scaricare a qualche altro. Ma a chi? Ovviamente a quante nel rione che non avevano l’abilità fisica di rendere loro pane per focaccia: alle povere vecchiette forse di già crogiolate nel confortevole sonno.
       Gli screanzati, che non tenevano conto che un giorno lontano si sarebbero potuti trovare nelle stesse condizioni delle attempate creature, bussavano rumorosamente alla porta dell’infelice solitaria che, svegliatasi di soprassalto, agitata gridava: - Cu jè?... Cu jè?
Gli scostumati rispondevano: - Cci lassu i rùsuli e minni vàjiu!
         Queste storie antiche sembrano sorpassate e che non torneranno mai più…. Lo voglio sperare con tutta l’anima.
Intanto mentre sto scrivendo, s’è fatto buio: la neve di Villarosa stenta a sciogliersi perché resiste per la bassa temperatura.
         Grazie a Dio il riscaldamento di casa mia, al momento, è a posto…

         Il pensiero intanto mi porta lontano, a tutta la parte imprecisa- bile del mondo che vive ancora come ai tempi dei nostri nonni, ma soprattutto ho in cima ai pensieri i terremotati dell’Italia Centrale, che, dopo già tante sofferenze fisiche e morali, sono entrati, con fioche speranze, nno nfirnu do mmirnu.

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