sabato 8 maggio 2010

A TURRI

Gran festa in un antico regno mediterraneo, era nato l’atteso erede al trono. I magazzini del regno furono aperti e tutto il popolo ne godette; fiumi di vino per le vie erano offerti a chi ne volesse e i fumi degli stessi venivano sbolliti con canti, danze ed anche spropositi.
Una vecchia d’equivoco aspetto, dai capelli irti, vestita con panni di colori vari e sgargianti che non s’addicevano alla sua età, sbraitava con parole terribili che avrebbero fatto accapponare la pelle a tutti gli astanti, se tutti non fossero stati distratti dall’euforia alcolica di cui erano posseduti.
La donna indispettita dal fatto che nessuno l’ascoltava, s’avvicinò al capo della gendarmeria, che al centro della piazza controllava che la pazza gioia non eccedesse più del dovuto, e lo investì con un precipitare di parole che annunciavano disgrazie per il neonato regale.
Con l’occhio clinico degli sbirri, il graduato la qualificò megera forestiera cui il vino aveva fatto perdere il controllo verbale.
Non se la poté più togliere dai piedi, perché insisteva tanto a voler parlare direttamente col Re o con qualcuno più vicino a lui, tanta era gravità delle sue visioni, a proposito del principino appena arrivato al mondo.
Raccolse il suo atroce vaticinio il Primo Ministro.
A detta della scalmanata un grande fuoco sarebbe caduto dal cielo e avrebbe incenerito l’edificio in cui stava l’erede al trono.
Qualche giorno dopo, con le dovute cautele, il Re fu messo a corrente della orribile profezia.
Questi ne restò sconvolto più del dovuto perché la stessa Regina, durante la gestazione, più volte aveva fatto sogni inquietanti in cui c’era sempre di mezzo il fuoco.
Quella Reggia che fino a qualche giorno prima era stata la casa della gioia, d’improvviso divenne un triste e continuo mortorio.
I pareri dei saggi del Regno furono tanto discordi da non arrivare ad alcuna soluzione.
Infine il Ministro della Fabbrica Reale suggerì di costruire una torre di ferro, comunicante per mezzo di un cunicolo col Palazzo Reale.
Prima di decidere il Re volle sentire sull'argomento un vecchio eremita che viveva in povertà sulle montagne e lo fece venire a corte. Questi, sentita la profezia e la soluzione della torre di ferro ch’era stata proposta, disse:
- U Signuri unni ti voli t’avi.
E tacque.
La Regina, confusa tra il tormento che non allentava e la sibillina risposta, più ansiosa chiese ancora:
-
Cchi vuliti diri?E il saggio: - Chiddu ca dissi.
E inchinandosi devotamente riprese stancamente la via dell’eremo.
La torre fu costruita in ferro con tutte le precauzioni e le migliori tecniche architettoniche note in quel tempo.
Divenne la gabbia del povero bimbo che cresceva bello ed intelligente fra genitori, maestri ed istitutori, giocattoli e trastulli più impensati, ma privo del contatto con coetanei e dei giochi usuali di tutti i bimbi del mondo.
Passarono gli anni tra generale tormento e angoscia, i genitori si ripetevano sempre le scarne parole dell’eremita, che intanto era passato a miglior vita, ma non ebbero mai la risolutezza di cercare consolazione nella volontà di Dio.
La vernata dei tredici anni del principino fu molto fredda ed umida. Una sera, visto che nevicava da più giorni senza lampi e senza tuoni, la Regina, pensando sempre al suo ragazzo triste fra mura metalliche, in un impeto di risolutezza chiese al marito di portare per qualche giorno il ragazzo fra le comodità della reggia. Si trovarono d’incanto tutti d’accordo. Alla neve seguirono piogge incessanti ma lo spirito dei grandi e del piccolo non fu mai così sereno nella loro casa consona alla loro condizione.
Una notte, da poco i coniugi regali erano andati a letto, all'improvviso un tonfo sordo e potente colpisce le orecchie e blocca i battiti del loro cuore. S’alzano di botto, s’interrogano con gli occhi, non sanno darsi una risposta. Chiamano maggiordomo e servitù, tutti avevano sentito, ma nessuno sa dare un parere, anzi qualcuno aggiunge d’aver sentito addirittura tremare il pavimento.
Intanto il tempo era mutato; alla pioggia segue un forte vento e bagliori lontani lasciano presagire l’arrivo di un temporale.
La decisione è immediata: portare il ragazzo nel suo rifugio sicuro; lo svegliano, lo coprono e si infilano nel cunicolo. I servi che li precedono con fiaccole e lumi improvvisamente si bloccano emettendo un grido di forte disappunto.
Che è successo?
Il budello è ostruito da un’enorme quantità di detriti e l’acqua comincia ad invaderlo. Si decide all’istante di tornare indietro perché non c’è al momento altra possibilità di raggiungere la torre dall'esterno in quanto il temporale di già martella la città.
Fra lampi e tuoni rientrano nelle camere; tutti, regali e servi, uniti fra timore e disperazione, si buttano a terra in ginocchioni a pregare.
All’improvviso un accecante bagliore trafigge la stanza attraverso le fessure delle imposte dei balconi e delle finestre, un botto assordante squarcia le orecchie e introna i cervelli… il silenzio che segue li trova tutti abbracciati senza distinzione di rango.
Un fulmine caduto sulla torre ferrea, l’ha spezzata e ne sta incendiando mobili e suppellettili.




Cerca nel blog

Lettori fissi

Archivio blog