venerdì 5 marzo 2010

CÀRMINA

I concittadini d’età intorno alla mia e specialmente se cresciuti nel rione Cavour, zona “Cozzo” e “Vasca”, si ricorderanno della figurina gracile e sdentata di Càrmina, detta a Camiola.
La sua espressione semplice ed indifesa tradiva una condizione di minorazione psichica.
Viveva in un catujiu, che aveva riempito di bacinelle e vasi da notte di ferro smaltato che la gente buttava per via dei buchi che l’usura e il tempo vi avevano praticato: poverina trovava uno spreco tutta quella roba buttata via!
Era sempre in giro in cerca di qualcosa da mangiucchiare e da raccogliere.
Mia nonna si serviva di lei per qualche semplice commissione, tanto per farla sentire in qualche modo utile.
Giunse la guerra, la situazione alimentare era tristissima, ma a Càrmina, sola al mondo, non mancò l’essenziale che era assolutamente minimo.
Non era vecchia la sventurata ma lo stato d’abbandono generale la faceva apparire tale.
Negli ultimi tempi della sua esistenza, la si vedeva appoggiata ad un muro a rimettere quanto teneva nello stomaco. Si pensò che la causa fosse dovuta semplicemente all’ingerimento di cibi guasti.
Le vicine di casa appena una mattina non la videro uscire come d'abitudine temettero il peggio ed informarono le autorità; fu trovata morta.
La fine di Càrmina dispiacque a quanti la conobbero.
Fu in quell’occasione che mia nonna ci raccontò la triste storia della sventurata.
Era l’ultima nata d’una famiglia povera, i fratelli tentarono la fortuna negli USA quando la bimba era molto piccola e pertanto non furono in grado di valutarne l’insufficienza mentale.
Càrmina cresceva bella nei lineamenti ma trascurata in tutto il resto.
Rimase orfana adolescente e si arrangiò come poté, senza chiedere soccorso ai fratelli.
Un giorno il postino consegnò a Càrmina una busta. Corse dalla vicina che si mostrava più premurosa nei suoi riguardi; quest’altra poverina era pure analfabeta, ma trovò l'ardire d’affrontare una signora d’altra condizione che sapeva leggere e scrivere.
La busta oltre alla lettera conteneva una grossa banconota in dollari.
Nella lettera era spiegato che un loro amico polacco, intendeva prendere in moglie una brava donna siciliana, perché le americane non erano adatte a gente modesta quali gli immigrati.
Chiedevano pure una fotografia per mostrarla al futuro sposo.
Tutto il vicinato si mise a disposizione racimolando pezzi di varie stoffe per rabberciare un abito degno d’un futura sposa americana; la portarono quasi di peso presso lo studio del fotografo don Salvatore Profeta, che era maestro nel ritocco.
Il risultato fu l’effige d’una splendida damina che ammaliò il futuro sposo solo a vederne l’immagine sulla carta.
I fratelli si fecero carico di tutte le spese e giunse il momento che Càrmina fu rilevata da loro al porto di New York.
La mancanza del minimo di vivacità fu addebitata alla timidezza, al nuovo ambiente del tutto differente da quello del Centro-Sicilia e alla mancata conoscenza della lingua inglese da parte della giovane.
I fratelli a ripetere che col tempo si sarebbe “sfacciata”, lo sposo a sperare che imparasse presto la lingua. Intanto se n’ era innamorato ancor più solamente a vederla, perché vigeva anche nel Nuovo Mondo la regola siciliana che la promessa sposa non si poteva nemmeno sfiorare.
Le nozze furono celebrate con lo sfarzo che poteva addirsi ad emigranti.
Passarono molti mesi e giorno dopo giorno le speranze apparivano sempre più deludenti; si fece strada nella loro mente il sospetto che i motivi erano ben altri.
Lo sposo la ripudiò; i fratelli la rimisero sul bastimento, per l’Italia.
Penso che essi si saranno ricordato ogni tanto di mettere qualche dollaro in una busta, ma allo scoppio dell’ultima guerra, divenuta l’Italia nemica degli USA, il modesto sussidio si esaurì di necessità.

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