UN
TENTATIVO DI FRODE INDUSTRIALE-ZOLFIFERA
È naturale che ogni uomo cerchi di raggiungere il proprio
maggior benessere, ma molti utilizzano metodi illeciti, come quello di frodare
il prossimo, al fine di agguantarlo per la via breve.
Tanto è sempre avvenuto, perché il detto "Munnu à statu e munnu jè" è molto antico.
Il protagonista di questo accaduto, del quale ho trattato
in altri post, era un dilettante poeta dialettale, che non per niente recitava
spesso il già citato suo distico, secondo cui:
"Cu
mitti i pidi n'terra e nunn'è latru,
o jè
di stuccu o jè di vitru.
Solo che proprio l'autore dell'adagio stava per essere
vittima di quanto egli stesso aveva chiaramente espresso.
Nella nostra arida zona la natura offriva rare opportunità
di diventare ricchi con la libera scelta di un lavoro confacente alle proprie
possibilità e inclinazioni: mettere le mani su una poco probabile truvatura o divenire principali di pirrera erano le più
comuni, ma ce ne sono ancora tante altre: la delinquenza ordinaria e quella che
da soli 150 anni è chiamata "mafia", ma da sempre presente e
segretamente designata come "Cosa Nostra", denominazione nota al
pubblico e persino alle Autorità, solamente da qualche decennio.
Nei primi anni del '900 giunsero a Villarosa due fratelli
della provincia di Girgenti con le rispettive famiglie, con figliolanze a
prevalenza maschile. Essi cercavano di crearsi il benessere industriale
utilizzando questa manodopera domestica a buon mercato.
Esplorarono varie zone, ma man mano s'accorgevano di non
avere imbroccato la strada appropriata della sperata fortuna.
Tornare al paese d'origine più poveri di prima proprio non
se la sentivano, così escogitarono un imbroglio: diffondere la notizia di aver
trovato lo zolfo in territorio di Calascibetta e di avere abbassatu di già i primi vagoni del giallo elemento.
Ammaestrarono ben bene persino i loro ragazzi e tutti, dovunque
arrivavano, ne parlavano con entusiasmo, sperando che qualcuno cascasse nel
raggiro e offrisse una buona somma per subentrare nella declamata interessante occasione.
La zona indicata era un po' lontana dalle miniere di
villarosani, quindi fu facile far apparire possibile la ventilata novità.
Molti avrebbero voluto tentare questa invitante occasione
ma non avevano la fortuna di avere una squadra di aiutanti in famiglia, né la
somma richiesta dai venditori.
Fra tanti volle provarci il già citato mastro Pietro, che
purtroppo di figli maschi ne aveva solamente uno, ma sperava tanto, in caso di
tangibile fortuna, di potere chiedere concreto aiuto ai numerosi suoi fratelli.
Dal sopralluogo effettuato constatarono che la galleria scavata presentava
piccoli frammenti di zolfo e che la carcara
era adeguata alla consistenza della
piccola miniera e mostrava segni di un antecedente utilizzo.
Si accordarono sul prezzo: una piccola somma il compratore
la sborsò come anticipo alla consegna dell'impianto e per il resto firmò due
consistenti cambiali con scadenza semestrale ciascuna.
Subito dopo padre e figlio si misero al lavoro di buona
lena; rinunciarono la sera di tornare a casa,
arrangiandosi a dormine su un giaciglio preparato alla buona con
frasche, per essere pronti il mattino dopo a riprendere lo scavo con picconi e
paletti.
Dopo qualche settimana di tenace perseveranza non
riuscirono a estrarre nessun masso venato del biondo minerale.
A questo punto cominciarono ad aver il dubbio di essere
stati truffati. Nondimeno vollero provare ancora col chiedere informazioni ai
contadini della zona. Costoro rivelarono che, per buona sorte delle loro
coltivazioni, non avevano sentito il minimo odore di fumo di zolfo bruciato;
aggiunsero pure che i venditori negli
ultimi tempi andavano rovistando fra vecchie miniere vicine; infine rivelarono
che la fornace era stata ricostruita smontando le pietre di altri giacimenti
esauriti da tempo.
Da tanto, padre e figlio trassero l' evidente conclusione
che le scagliette di zolfo, reperite tra lo sterro della galleria, i furbastri
fratelli se l'erano procurate altrove e le avevano disseminate intorno per
ingannare un eventuale acquirente.
Che fare a questo punto?
Denunciare i truffatori? Era del tutto inutile perché nella
carta privata non era indicata la certezza della presenza dello zolfo. E poi,
proprio lui non poteva ricorrere al maresciallo dei carabinieri, proprio lui
che qualche mese prima aveva sputato in faccia al figlio, quando questi
manifestò la gioiosa volontà di arruolarsi nell'Arma.
Mastro Pietro decise di restare in casa durante il giorno per non far capire in paese
che lui, proprio lui, aveva ingoiato pacificamente un simile sgarbo. La sera
invece cominciò a frequentare le diverse osterie per cercare d' individuare le
abitudini dei due farabutti. Senza aver bisogno di far domande a destra e a
manca scoprì che i due fratelli, sul far tardi della sera, s'avviavano verso
San Calogero e oltrepassavano la chiesa perché abitavano in due casupole a
sinistra, dopo il bivio della "Grada", che successivamente la zona
sarebbe stata chiamata "Colonia".
Si consultò col figlio e gli disse di tenersi pronto per il
momento decisivo dell'intervento.
Fin dal primo momento Mastro Pietro aveva trovato idoneo il
luogo per riottenere avere il maltolto. Nei primi del '900 e per molti decenni
a venire, San Calò era una periferia
molto appropriata per gli agguati e le rese di conti: a tarda sera non c'erano
più carretti che rientravano in paese e tanto meno altri che facessero
l'itinerario opposto; gli zolfatai e carusi
erano ritornati da molte ore e gli ultimi contadini e le relative bestie di
già dormivano nelle loro rispettive dimore.
L'ultimo pubblico lampione a olio arrivava al Ponte
Caramanna, dove finivano le case; dal lato opposto le costruzioni continuavano
per poco fino a raggiungere la via Solferino.
Era invece facile incontrare, nelle ore buie della zona
interdetta alle persone tranquille, i vari contendenti che s'erano ridato
appuntamento a sera nel tipico teatro di battaglia, dove si esibivano più di frequente a cazzottate, ma
anche ccu liccasapuni o con altro ancora
di peggio.
Non c'è tanto da
stupirsi perché quelli erano i tempi di cui parlavano ancora i vecchi
dell'epoca della mia giovanissima età, che rimembravano le liti del sabato
sera, quando, complice l' ubriacatura,
quasi sempre ci scappava il morto.
Mastro Pietro e il figlio Aldo prepararono, per una delle
prossime sere che ritenevano più tranquilla, le rivoltelle, sempre sperando che
non si presentasse la spiacevole ipotesi di doverle mettere necessariamente in
campo.
Uno dei giorni seguenti, padre e figlio a fine pranzo, con
uno sguardo d'intesa, stabilirono l'agguato per la stessa sera, senza far
capire niente alla donne di casa. Già prima s'era convenuto che il padre
avrebbe affrontato da solo i due disonesti fratelli, mentre Aldo si sarebbe
tenuto in disparte dietro la chiesetta di San Calogero per intervenire solo nel
caso in cui il padre non se la sarebbe cavata da solo.
A distanza mastro Pietro nelle sere precedenti aveva
inquadrato le due figure alla fioca luce dei lontani lampioni e le aveva
seguite a distanza. L'esperienza precedente gli fu provvidenziale e quando
furono ben lontani dall'abitato, sbarrò loro la strada con la canna americana, che
allora era d' uso comune fra le persone di rispetto, mentre teneva in tasca l'altra
mano in chiaro atto di minaccia con arma da fuoco. I due capirono perfettamente
che il loro antagonista non era il tipo così sprovveduto da presentarsi da solo
a un così rischioso appuntamento; rimasero allibiti e proprio non sapevano quale
decisione prendere.
Mastro Pietro, senza porre tempo in mezzo, intimò al
piccolo dei due: - Tu va piglia i du cambiali, si nun vo perdiri ppi sempri a to frati!
Il grande annuì con un borbottio di assentimento e il piccolo
mosse speditamente i piedi verso casa.
Quando questi fu di ritorno, il truffato prese in mano le
cambiali; poi gli consegnò in mano una
scatola di zolfanelli e gli ordinò di far luce sui i due preziosi pezzi di
carta.
Constatata la chiara
corrispondenza degli atti, diede loro il benestare d'andar via.
Mentre quelli, giù di corda, s'allontanavano, mastro
Pietro, come se si rivolgesse a più persone dietro la chiesetta, ordinò di tornare
in paese, dal momento che la questione era risolta.
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