domenica 4 aprile 2010

U PRINCIPI CRIVARU - Parte I

PARTE I

Luisa aveva appena centrato la bocca della sua quartara alla cannella della fontana e seguiva con distacco il solito diverbio sui turni non rispettati, quando udì lo scalpiccio di zoccoli; ne fu contrariata, perché temeva che si trattasse dei consueti prepotenti garzoni del barone i quali esigevano sempre la precedenza all'abbeveratoio.
Alzò con fierezza la testa e indirizzò uno sguardo di sfida ad altezza d’uomo in sella, e i suoi occhi non trovarono gli zoticoni che s’ attendeva d’incontrare, ma s’incrociarono con quelli di uno splendente cavaliere, in abiti e portamento ben diversi da quelli della gente del luogo.
Luisa provò imbarazzo per via dello sguardo di ribellione da destinare agli scostumati che aveva timore di trovarsi davanti, e come chi sentendosi colpevole di grave offesa volesse sprofondare sotto terra, abbassò lo sguardo oramai disarmato, tanto che la sua figura si ricompose piccola e fragile.
Il nobil uomo ne rimase talmente affascinato che non seppe esprimere a parole il suo soave turbamento; saltò giù di sella, fece solamente un vago gesto con la mano come se volesse raccogliere un’immagine tremolante dallo specchio della fontana…
Quando si riebbe dallo stordimento momentaneo scorse la ragazza che, abbandonata la brocca e raccogliendo con le mani verso l’alto l’abbondante veste per non inciampare, si ritirava affrettatamente lungo il sentiero accidentato.
Il giovane, rimasto inebetito, si chiedeva quale fosse stato il suo atteggiamento così scorretto da poter produrre quella disastrosa reazione.
Al gentiluomo, quella fanciulla svanita dalla sua vista, restò impressa negli occhi come il ricordo di leggera capretta che saltella per schivar grossi sassi.
Ripresosi si volse verso le altre donne alla fontana e chiese loro il nome della bella giovane e a quale famiglia appartenesse.
Apprese che si trattava di Luisa l’amata figlia dello scarparo, vedovo da poco.
I ragazzi, che giocavano nei pressi, percepito l’ inusitato scompiglio, s’avvicinarono curiosi e subito si offrirono di accompagnare il nobil signore alla casa della ragazza.
Cavalli e cavalieri, preceduti dallo stuolo dei giovanetti, entrarono in paese creando ancora più trambusto. Il cicaleccio che li precedeva giunse prima di loro all’uscio della misera dimora, che al loro arrivo fu trovato sprangato.
Il principe fece un cenno ad un amico del seguito che lasciò cadere una manciata di spiccioli a terra; mentre i ragazzi erano intenti a raccoglierli, spronati i destrieri, i cavalieri svanirono al di là del sentiero donde erano venuti.
Del fatto se ne parlò in paese per più giorni; se ne fecero le più impensabili ipotesi.
La porta del calzolaio si riaprì, Luisa riprese le consuete faccende di casa, ma non andò alla fontana, per non alimentare curiosità aggiuntiva e non stimolare domande a cui nemmeno lei era in grado di darsi risposta, tanto meno di poterne offrire ad altri.
Il nobile cavaliere non s’era presentato, ma nientemeno era il principe ereditario Corrado, futuro Re del Regno di Populonia. Egli si trovava lì di ritorno da una battuta di caccia coi suoi amici più cari e s’era fermato casualmente solo per abbeverare gli animali.
Nessuno l’aveva riconosciuto, ma le movenze, la preziosità delle vesti e i ricchi finimenti dei cavalli, lasciavano trasparire una condizione superiore, inconsueta in quelle misere contrade.
Il futuro re era da tempo in età di prender moglie, ma non trovava, fra le ragazze della nobiltà o tra le figlie dei suoi pari, una che gli piacesse al punto di poterla scegliere come madre dei suoi figli e futura regina: quando non erano grassocce e pelose, le trovava frivole e superficiali.
Il re se ne doleva tanto perché prima della fine dei suoi giorni voleva vedere avviata la continuazione della dinastia.
Il Principe, dopo il casuale incontro alla fontana, aveva sempre avanti a sé l’immagine fugace della bella paesana e tanto lo teneva in uno stato di apatia continuo che gli faceva trascurare persino le attività a lui più care.
Il mutamento improvviso d’umore non sfuggiva a quanti stavano intorno a lui, dalla servitù che lo stimava tanto, ai suoi genitori.
La Regina pregò il consorte di lasciarla parlare col figliolo.
Questi con grande imbarazzo, perché ben consapevole della incolmabile differenza sociale fra il suo stato e quello della giovane, espresse alla madre l’angoscia che lo martoriava e le perplessità che lo bloccavano ad un tempo.
I trepidi genitori, ben conoscendo l’indole riflessiva e prudente del figlio, convennero di concedergli piena fiducia, lasciandolo libero nella sua difficile decisione.
Un fidato funzionario di Stato fu incaricato di raccogliere, con molta discrezione, notizie intorno alla moralità della ragazza e della famiglia: lo stato economico risultò corrispondente a quanto era già supponibile; in quanto al resto nulla poteva dirsi che non fosse eccellente da tutti i punti di vista.
Una piccola delegazione si fece annunciare presso la modesta abitazione di Luisa, dove fu accolta con dignitosa serenità.
Alla richiesta ufficiale di matrimonio, il calzolaio non si scompose affatto e chiese tranquillamente:
- Che mestiere esercita il Principe?
Un imbarazzante silenzio gelò l’atmosfera della linda e modesta stanzetta.
Il dignitario reale ruppe il ghiaccio facendo presente che il loro Principe sarebbe divenuto un giorno il Re della loro nazione, come lo erano stati il padre, il nonno e tutti gli avi che avevano avuto nei secoli per occupazione l’interesse generale dello Stato, per antico diritto dinastico.
Il padre di Luisa rimaneva irremovibile nella sua pretesa, nella più rispettosa pacatezza.
Sconcertati i delegati lasciarono la casa salutando con cenni, in sommesso silenzio.
Il Re vagliò lo sconvolgente rapporto e capì di trovarsi innanzi ad una personalità non comune, forte e decisa: altri di qualunque ceto sociale avrebbero fatto salti di felicità, invece un umile ciabattino era in grado di dar lezione di saldo carattere ad alti dignitari e persino al proprio sovrano. Dello stesso parere fu il Principe, cui veniva agli occhi la figura ardita che voleva incenerirlo con lo sguardo scambiandolo con lo sgherro di qualche signorotto della contrada.
Il giovane, già innamorato d’una semplice leggiadra immagine fuggente, ora se la ritrovava dotata d’ un energico e deciso carattere, così rotta ogni esitazione chiese ai tecnici di palazzo di indicargli un mestiere di facile acquisizione.
Si convenne sull’ attività di stacciaio, mestiere semplice e celere ad apprendersi.
In incognito frequentò per qualche tempo un vecchio acconciatore di crivelli d’altra città e quando si sentì provetto nel mestiere, fece riferire al futuro suocero che aveva ben appreso l’arte di riempir vagli e stacci.
Il matrimonio fu annunciato e celebrato con sfarzo.
Incontenibile fu la gioia del popolo che vide per la prima volta una loro pari salire al vertice della scala sociale della Nazione; contenuta ed ipocritamente ostentata l’ accettazione dell’aristocrazia che si sentiva umiliata dalla mancata scelta del Principe fra le giovani del suo rango e dal timore di veder compromessa la loro casta blasonata per questa inconcepibile scivolata verso il basso.
La nuova principessa, di viva quanto plastica intelligenza, in breve tempo s’abituò alla vita di corte aiutata dal marito e dalla suocera: pochi mesi dopo a stento avrebbe qualcuno capito che quella dama provenisse dalla casa d’ un umile artigiano.
Al pronto ingegno s’accompagnava una grande sensibilità verso i problemi sociali ed in ogni occasione non mancava mai di perorare la causa degli ultimi del Regno.
Venuta dal mondo contadino ben ne conosceva i problemi e le angosce, e quando una sera durante una conversazione apprese che i nobili, al contrario di quanto avviene nelle classi sociali inferiori, non pagavano tasse per la tenuta di cavalli, ne fu sconcertata e turbata.
Un ministro presente, emerito economista, sostenne la tesi che spiegava la ratio della disposizione: il contadino dal suo asino ne trae un reddito, mentre l’ aristocratico mantiene esclusivamente i cavalli per puro diporto, senza percezione di provento alcuno; anzi il nobile a causa di questo suo diletto offriva lavoro a stallieri, carrozzieri e maniscalchi.
La tesi non convinse la principessa che si battè perché fossero esentati dalla tassa sul bestiame almeno i piccoli coltivatori.
La disposizione fu approvata con scarso entusiasmo da parte della classe al potere, solo per non scontentare la futura regina.
L’insistenza della Principessa nella scelta di campo della difesa dei più poveri cominciò ad alienarle nobili e ricchi borghesi. Agli alti livelli l’immagine della giovane consorte del Principe veniva scalfita giorno dopo giorno, facendo circolare false notizie di improbabili balordaggini mai accadute. Ad alto livello sociale si faceva facile ironia sulla bassa provenienza familiare della Principessa e sul padre calzolaio e sulla premurosa attenzione verso asini e villani.
Il popolo amava sempre la sua Principessa e ciò faceva imbestialire la classe dei potenti che non sapeva come muoversi tra l’ossequio alla monarchia e la difesa del prestigio di casta.
Negli anni a seguire i Principi furono allietati dalla nascita del futuro principino ereditario e di una dolce bimba; successivamente furono turbati della naturale dipartita dei loro vecchi.
Era cambiato il Re, le generazioni si susseguivano, ma l’ostracismo alla Casa Reale e in particolare alla Regina, venuta dal popolo, aumentava e si diffondeva sempre più.
Malgrado però il discredito seminato negli anni tra il popolo, i regali erano sempre in auge; di conseguenza gli aristocratici sempre invidiosi del successo cercavano sistemi più raffinati atti ad indebolire il prestigio del Re.

[continua]

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