Quando vediamo disfarsi tanti matrimoni spesso si desidera fortemente
che essi non siano stati mai celebrati, ma ci sono amori intensi che non
arrivano all’altare e nel tempo creano vuoti incolmabili anche nella futura esistenza.
Spesso mi affiora nella memoria la storia bellissima dei due
innamoratissimi giovani che verso la fine degli anni quaranta e nei primi del
decennio successivo vivevano un rapporto sentimentale che loro credevano furtivo,
ma solamente per modo di dire perché esso era noto a “Ciccu e u pupulu”.
Quelli erano tempi difficili per l’amore, specialmente per
quello vero e puro, che si esternava con sguardi furtivi, col passare e
ripassare sotto la finestra della bella, col seguirla alla Messa domenicale o
standole dietro a opportuna distanza nella passeggiata festiva: tutti gesti
silenziosi che si ritenevano invisibili, ma erano altamente comunicativi.
Insomma prima che il rapporto si consolidasse, con una lettera fatta arrivare a
destinazione nei modi più accortamente escogitati, tutto il paese era a
conoscenza della novità. Non per niente esiste da noi il proverbio: “Amuri, prinizza e dinari, su tri cosi ca
nun si punu ammucciari”.
Brunella e Gabriele, così li chiamo per rispettare la
privacy di ciascuno, appartenevano a due modeste famiglie borghesi. I genitori
d’entrambi lasciavano liberi nella scelta i ragazzi; ugualmente la pubblica
opinione reputava armoniosa la futura completa unione, anche se, come sempre
accade, le immancabili malelingue ci mettevano il consueto pizzico di veleno,
come su ogni umana circostanza.
La cerchia d’amici cui apparteneva Gabriele era vasta e
coesa. Io ero più giovane rispetto a loro e quindi non ne facevo parte, ma li
ammiravo tanto.
Per anni il rapporto continuò senza mai ufficializzarsi,
forse perché, per le difficoltà dei tempi, Gabriele attendeva un’opportunità di
lavoro che gli consentisse di mantenere la futura famiglia.
A un certo momento tra la gioventù del paese s’inserì un
bel giovane, proveniente da una città della Penisola, che era fratello della
moglie forestiera di un nostro facoltoso concittadino.
Benedetto, chiamiamolo così, fu accolto nei vari gruppi giovanili
con tutte le premure che noi notoriamente siamo soliti offrire ai forestieri.
Bisogna ammettere però che il giovanotto si mostrava da
vero signore e meritava ogni attenzione, che egli ricambiava con serena
riconoscenza.
Una mattina deflagrò, come bomba, per il paese la notizia
che il pluriennale fidanzamento tra Gabriele e Brunella si era spezzato e che
quest’ultima si era promessa come sposa a Benedetto.
Lascio immaginare i commenti che si espressero a tutti i
livelli della popolazione, ma nessuno ovviamente era in grado di ravvisare i
dettagli intimi di una scelta tanto discutibile.
La novella copia convolò a nozze e si stabilì nella lontana
città dello sposo.
Quel rapporto durato lunghi anni amareggiò tanto la
gioventù villarosana e la massima comprensione fu orientata alla, pur non
palesata, amarezza del giovane umiliato.
Passarono alcuni mesi e Gabriele trovò una stabile
occupazione fuori Villarosa.
Erano passati pochi anni dal periodo di tutte le amarezze
alle quali intervennero con spirito di umana partecipazione buona parte della
cittadinanza, quando Villarosa approvò con sincero favore il fidanzamento ufficiale
di Gabriele con Giusy, una seria e più giovane ragazza di una famiglia locale.
La nuova coppia di sposi andò a vivere, per motivi di
lavoro, in una città siciliana.
Gli anni scorrevano e le due famiglie in questione erano state allietate da diverse nascite, quando a Villarosa, come fulmine a ciel sereno, si venne a sapere che Benedetto era mancato all’affetto di tutti i suoi cari.
La notizia sconvolse i parenti e buona parte dell’opinione
pubblica. Di certo non mancarono i soliti sapientoni che vedevano, in un fatto
naturale come il trapasso ad altra vita, un segno di castigo del destino
inesorabile.
Passarono altri anni ancora e si
aggiunse alle già tanto discusse vicende quella della prematura dipartita di
Giusy.
Questa volta le interpretazioni
sulla fatalità incombente sugli esseri umani uscirono dai naturali binari ed
entrarono in commenti e soluzioni che sfiorarono persino la meschinità.
La più ovvia e la meno infelice delle
ipotesi era quella che auspicavano, finalmente, il ritorno all’antico amore,
imposto, secondo loro, indiscutibilmente dal destino.
I più assennati capirono che tal
eventualità era, almeno al momento, inopportuna.
Passò più di un anno dall’ultimo
funesto evento, quando due degli amici di sempre furono riconosciuti dagli altri,
i più idonei a cimentarsi su quel delicato argomento.
L’occasione non mancò di certo e
quando uno dei due con garbo riprese discorsi antichi, prima ancora che fosse
entrato nel cuore della specifica confidenziale proposta, Gabriele, che aveva
intuito dove andava a parare quel dire, accennò un triste sorriso e troncò la
pur lodevole proposta non ancora proferita, precisando:
-
L’amuri nunn’è brudu di cìciri, speci quannu d’assà timpu jè mucàtu.
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