È da diversi decenni che non vedo in giro un frutto già
comune nella mia infanzia, i nìspuli.
Ho comprato la modica quantità in foto non tanto che ne
avessi desiderio di gustarli ancora una volta, quanto per mostrarli ai miei
figli e nipotini; poi ho pensato di presentarli in immagine a quanti altri giovani
che pure non hanno avuto occasione di vederli. È un frutto dal gusto per nulla prelibato,
tant’ è che è stato quasi dimenticato: è di sapore intensamente aspro, appena
mangiabile quando è molto maturo; i suoi semi durissimi sono incarniti nella
polpa e difficilissimi a separarli e sputarli.
Esse erano l’unico frutto con questo nome nei tempi
passati; l’altro dolcissimo e succoso che matura in primavera, che ben
conosciamo e apprezziamo, ne ha usurpato il nome, ma un tempo era conosciuto
con l’aggiunta dell’aggettivo “giapponese” perché proveniente dall’estremo
Oriente. (1)
Il motivo della mia presentazione non è soltanto una
curiosità botanica, ma un’ occasione di conoscenza dei tempi passati, quando il
frutto, oggi a tal punto sottovalutato, rappresentava una risorsa alimentare modesta
ma atta ad attenuare un po’ i morsi della fame.
Un altro proverbio si accoppia a questo per condurci
idealmente a quel mondo che speriamo di non sperimentare più: “Prima di Natali
né friddu né fami, duppu u Natali lu friddu e la fami”.
Quando le scorte delle spighe, raccolte una a una fra le stoppie
assolate (i ristucci) durante
l’estate, erano esaurite e non c’erano più le carrube e nemmeno le allappanti
nespole nostrane sopra presentate, nel momento che si facevano sentire i morsi
della fame venivano masticate e ingoiate tutte le bacche e le erbette che si
trovavano lungo i viottoli fra i campi; non per niente un altro vecchio
proverbio del passato recitava: “ìnchi la panza e ìnchila di spini”.
Io prego sempre
l’Inconoscibile Creatore, che ha messo in cantiere questo immenso Universo, che
faccia sì che quei tempi tristi e duri non tornino più nel Mondo intero.
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(1)
A
proposito di nespole d’origine orientale colgo l’occasione di un mio ricordo di
bambino, sia pure fuori argomento, per introdurre una memoria di guerra; nel
1941 quando avevo sette anni, c’era in voga una ironica canzone che conteneva il
nome di tale frutto e notavo che chi la canticchiava calcava “…nespole, nespole
giapponesi…”. Tale canto mi sembrava qualcosa di banale da non considerare
nemmeno, ma quando fui più maturo collegai quelle presunte insipidezze al tragico attacco proditorio di
Pearl Harbour, dove avvenne a sorpresa e senza che si fosse dichiarata guerra, il
bombardamento vile degli aerei giapponesi contro la base militare statunitense,
dove, insieme ai mezzi navali e aerei distrutti, furono uccise tante creature
umane.
Gli Italiani alleati, oltre che con i
tedeschi, pure con i giapponesi, godettero di quell’attacco vile a tradimento: però
non passò molto che le “nespole” inglesi e americane piovvero anche sulle
nostre teste.
Non aggiungo altro: spero che tali
antichi fatti portino insegnamento: dice il proverbio che “chi gode del male
altrui il suo è dietro la porta”.