lunedì 15 ottobre 2018


PEPPI SBINTU
e le ridicole pagliacciate odierne che, offendono le tristezze degli antichi tempi.

Un pomeriggio di qualche anno fa, mi trovavo alla Stazione ferroviaria di Villarosa per accompagnare mia figlia che partiva.
Distanti da noi, in atteggiamento di attesa del treno per Catania, stava sul marciapiede un gruppetto di persone che conversavano serenamente col Capo Stazione Primo David.
Quando quei signori partirono, il signor David si fermò a parlare con me e, di sua iniziativa, mi spiegò che si trattava di villeggianti, nipoti di un nostro compaesano che aveva lasciato Villarosa tantissimi anni prima, quale emigrante per gli Stati Uniti.
Erano venuti in Italia da turisti, ma vollero fare una breve sosta a Villarosa, per conoscere il paese d'origine della famiglia e per respirare, come si suol dire, l'aria nativa del defunto carissimo nonno.
Intanto, per non arrecare imbarazzo a probabili sconosciuti parenti, probabilmente ancora qui residenti, avevano scelto di alloggiare presso una locale pensione.
Il cognome dei turisti notati alla stazione corrispondeva anche a quello di nostri concittadini, compreso un mio intimo amico, Pino.
Questi appena intese la mia breve esposizione, rifletté un po' per scorrere, tra gli emigrati della parentela, quello che aveva raggiunto gli Stati Uniti…
Improvvisamente esclamò: Ma certu!...  Sicuramenti jerano i niputi do zzi Peppi Sbintu!
Mi precisò che tale parente era stato cugino di primo grado di suo padre e che, secondo quanto aveva appreso in famiglia, era un individuo di carattere gioviale e propenso sempre a rendere briosa ogni comitiva.
Era ardentemente desideroso di poter lasciare il duro e deprimente lavoro della miniera ed emigrare in una terra dove si potessero esercitare attività meno aspre e pericolose.
I tempi passati erano concretamente duri: il lavoro in atto era mal retribuito, bastava solamente a far buscare il "pane quotidiano"; spesso i ragazzini erano avviati, dai sei anni in poi, a carriari cco stirraturi lo zolfo dal fondo della miniera fino alla superficie; analogamente le femminucce andavano molto spesso a servizio presso famiglie facoltose, dove buscavano il limitato alimento e poche volte riuscivano a raccattare qualche leccornia tra gli avanzi della mensa dei padroni.
Nei primi del '900 Peppe Sbintu riuscì nel suo intento, lasciando l'amato paese.
Quando si fu ambientato nella lontana terra, cominciò a esortare a raggiungerlo il caro cugino, padre di Pino: questo, valente muratore e genitore di nutrita prole, non volle lasciare il luogo dov'era nato e cresciuto.
La corrispondenza fra i due rimase assidua per vari decenni, tanto che Pino, ultimo dei figli, sentiva vicino lo sconosciuto zio: lo ammirava per le briosità dei tempi giovanili che papà raccontava, e guardava attentamente le fotografie e le cartoline illustrate che spesso ricevevano per posta.
Intanto io trovavo qualcosa di strano in quel cognome, unico in tutto il paese, così chiesi al mio amico un chiarimento.
Pino sorrise e mi precisò che quella del parente era na ngiuliapersonale, acquisita in gioventù.
Si suole dire che non si vive di solo pane e tanto corrisponde al vero; ci sono però, fra gli innumerevoli bisogni, alcuni che ai tempi di oggi farebbero sorridere a solo enumerarli: allora era necessario avere molta pazienza nell'attendere che uno di essi ci arrivasse fra le mani.
Ne cito uno solo, che è confacente all'argomento di cui tratterò.
Si tratta di un proverbio decaduto, tanto che oggi potrebbe sembrare una beffa, ma è ancora presente nelle varie raccolte tramandateci dai nostri saggi progenitori: Sarba la pezza ppi quannu arriva lu pirtusu. A tal proposito, sento il dovere di citare mia nonna Angelina, che ogni qual volta citava un proverbio, aggiungeva: "…e si nunn'era vero, l'anticu nun lu diciva".
 Nelle situazioni difficili del passato comprare un vestito era un serio problema: spesso gli sposi poveri, persino al matrimonio comparivano col vestito prestato loro da comprensive persone, che umanamente ne percepivano la seria difficoltà.  
Nella mia infanzia vivemmo il triste periodo della guerra e del dopoguerra che costrinse, fra l'altro, la mia mamma, come ho trattato in altro testo, a confezionarmi uno sfortunato vestitino, confezionato con il fodero, in tela gialla, della sua macchina per cucire.
Ricordo pure che la stessa mia cara donna di casa, mentre una mattina si era affacciata al balcone per stendere pochi panni e indossava un vestito non di tutti i giorni, fu apostrofata benevolmente dalla dirimpettaia Adelina, con queste parole:"Quannu  u povìru si vesti di lussu si vidi ca je arrivatu all'ussu".
Quello fu un periodo passeggero: grazie a Dio, giunse poco dopo il successivo tempo migliore, che passò presto in quello che fu battezzato "boom economico".
Nei tempi di Peppi Sbintu non si potevano immaginare tali riprese economiche in patria: di conseguenza, fra i cenci che capitavano alla mano, si conservava il meno consunto, per l'inevitabile momento in cui si sarebbe rivelato necessario a rattoppare il buco in qualche indumento.
Un sabato di pomeriggio di fine '800, gli amici di Peppinotarono che il già rilevato buco nei pantaloni del loro brioso amico, si era allargato oltre i limiti accettabili: perciò cominciarono a prenderlo in giro, esponendogli che c'era il pericolo che l' "uccello" trovasse una facile la via di fuga.
Peppi li riassicurò che il loro timore era inammissibile, poiché il volatile cui loro facevano cenno, era saldamente ben radicato.
Subito fecero capolino altre insinuazioni e Peppe aggiunse che, al massimo, la nuova maggiore estensione della fenditura avrebbe favorito l'agevole sbintu del prodotto gassoso che ogni creatura vivente produce in basso.
Risata generale: da quel momento perse il suo legittimo cognome e si ritrovò a esser chiamato Peppi Sbintu, non solamente dagli amici, ma anche d'altri paesani.
Ogni qual volta si parlava del personaggio divertente, pur emigrato in America, si utilizzava col nome proprio, anche il nomignolo, che egli stesso si era appioppato.
Sono passati parecchi decenni dalla dipartita di Peppi Sbintu da questa Terra, non di meno la generosa visita a Villarosa dei suoi nipoti americani, ha fatto riaffiorare, per bocca del mio amico Pino, l'antica 'ngiulia  del loro vivace nonno.
 Io stesso non avrei fatto  caso alla riemersione dell'anticangiulia, se non mi fosse capitato, da qualche anno in qua, di vedere in giro maturi giovani con pantaloni artificiosamente strappati, con piena cognizione e risolutezza.
Si cominciò qualche decennio fa a grattare con la carta vetrata i pantaloni di jeans e… sfrega oggi e sfrega domani, gli sciocconi del nostro tempo sono arrivati al massimo …dellosbintu.
 Oggi mi affido alla collaborazione intenzionale dei lettori, perché contribuiscano a far decadere tale stupida tendenza del momento, che offende quanti subirono, ai tempi della fame più nera, l'involontaria e non meritevole restrizione.





















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