Figure tipiche nel Corso Garibaldi di circa 80 anni fa
Il nostro Corso è da sempre è
stato l’anima del paese, a parte che per esso scorre la S.S. n. 121.
Ero bambino e sentivo parlare ancora
delle schermaglie verbali di vecchia data fra Vizzichinu e Castillanu, due personaggi che ho conosciuti bene
nella loro tarda età, quando non erano più vicini di putìja, tanto da non potersi stuzzicare frequentemente come prima: il Castellano commerciava pane, farina e modesti insaccati, il Vizzichino vendeva stabilmente frutta e
verdura.
Inizio a parlare dei
personaggi che operavano durante la mia prima infanzia a cominciare dal
Castellano che aveva bottega dove oggi è situata la cartoleria Lombardo: don
Michele fu molto vicino a mio padre anche per gli ottimi rapporti che questi intratteneva con i figli e i generi del primo. Il più piccolo dei maschi, esile di
costituzione, era bravo a scuola al punto che il padre volle che continuasse
gli studi per diplomarsi da maestro.
Si chiamava Salvatore, per
tutti era Totò, tranne che per il padre che continuò a chiamarlo all’antica, Tatò.
L'elettricità ancora non era
arrivata in paese e quindi la stessa radio, oggetto di gran costo di per sé,
non poteva esse operativa, soprattutto per quanto riguardavano le notizie di
cronaca e di politica generale. Così ogni giorno il padre, cresciuto in più
lontani tempi quando la scuola era un lusso non consentito al popolo minuto che avviava fin da ragazzini i figlioli a carriari, dava
al piccolo scolaro una moneta perché andasse a comprare il “Giornale di
Sicilia” di Palermo da don Peppino Gervasi, che tra la più varia merce che
trattava, di sola lettura vendeva esclusivamente tale unico quotidiano che
arrivava a Villarosa. Per meglio inquadrare la situazione culturale locale,
preciso che nella mia primissima infanzia non esistette nessuna edicola di
giornali: la prima fu aperta nei primi anni '40 da un certo Tumia. Solamente un
settimanale era pure in vendita nella Tabaccheria del Sindaco Profeta, gestita
da don Ciccio Marra, "La Domenica del Corriere", edito a Milano.
Appena Totò tornava in
bottega, il papà lo sollevava da sotto le ascelle e lo poneva a sedere sul
bancone.
Il ragazzino cominciava con la
lettura dei titoli a caratteri cubitali e poi, al cenno del genitore, iniziava
a leggere con calma l' intero articolo segnalatogli.
Don Michele rimaneva estasiato
nell'atto di ammirare quel raro dono della padronanza della lettura, che fluiva
dalla bocca di un minuto ragazzino.
Anni dopo, quando io conobbi i
due famosi contendenti, essi di già operavano a distanza: li divideva la piazza
e la diversità della merce in vendita.
Vizzichinu, La Posata
all'anagrafe, era noto a tutti con questo soprannome, tanto che spesso i
forestieri lo chiamavano "signor Vizzichino". Era una figura minuta che si dava da fare a
guadagnarsi da vivere per sé e la famiglia. Io lo ricordo soltanto come
attivissimo fruttivendolo, quando già il caffè era divenuto introvabile a causa
delle Sanzioni economiche subite dall’Italia. I più anziani, rispetto a me, lo
ricordavano ancora nell'atto di girare di prima mattina per le vie del paese,
con un trabiccolo spinto a mano, rassomigliante vagamente a quello dei gelatai,
a vendere un profumato caffè caldo.
Annunciava la sua presenza in
giro, manifestandosi col suono di una tromba:
- Tuuu... Tutuuu!
E poi, gridando:
- “Caffè, caffè venuto dall’Oriente “dicètelo” alla gente se non vi dico la
verità”
Ora, anche se siamo fuori
argomento rispetto al precedente personaggio, ma attigui come locale, voglio
trattare della figura simpatica di don Michele Lentini, che io conobbi
solamente da vivace pensionato.
Era un barbiere vecchio stampo che aveva operato
anche come cavadenti, senza poter far uso in quel tempo di nessuna forma di
anestesia; ugualmente praticava “scarnazzi”
, che consistevano nel tagliuzzare,
seconda un’antichissima credenza, la pelle nella zona sottostante la nuca e aspirarne il sangue mediante coppette in
vetro dentro cui bruciava per pochissimi secondi un pezzetto di bambagia, per
curare certi disturbi, quali emicranie e generici mal di testa: tale pratica,
ormai da molti decenni, è stata rimossa del tutto dai sistemi adottati dalla
scienza moderna.
Io lo ricordo come un
vecchietto spiritoso e socievole che s’intratteneva anche con i giovani con
argomenti allettanti. Fra le tante battute che sentivo spesso riferire, me ne sovviene ancora una scherzosa rivolta a un giovane in difficoltà.
Questi era un ragazzo vissuto al nord e che
passava le ferie presso parenti a Villarosa. Un giorno scendendo in bicicletta
dalla piazza dei Quattro Canti verso est, gli si ruppero i freni e cominciò a
gridare a gran voce:
- Chi mi tenga… Chi mi tenga….
A don Michele che era prossimo
alla porta, non potendo far nulla per aiutarlo, gli scappò dalla bocca
un’impropria espressione, rimasta famosa fino alla mia infanzia:
-Tènghiti tu e cu ti tenghi tenghi!
Ancora ricordo nn'aria
nn'aria la gelateria da Cartanittisa, signora Bella di cognome, che sorgeva nei due pianterreni che concludevano
l'isolato dei due precedenti personaggi e
terminavano con l'imbocco di via Poeta.
Da piccolo ne sentivo spesso parlare
e tanto rinnovava in me quella labile reminiscenza. Non ricordavo completamente
i visi dei due coniugi, che si
trasferirono nella propria città, dove aprirono il Caffè Bella nei pianterreni
dell'isolato a fianco di quello dell'ex Standa.
Quando frequentai il Liceo a
Caltanissetta davo sempre un sbirciatina nel locale, ma nessuno mi suggeriva
qualcosa come l'ombra d'un viso familiare.
Tanto non avvenne nemmeno trovandomi
nello studio d'un medico, dove in attesa del mio turno, mi trovai, diciassettenne, a conversare con un signore d'età avanzata che
quando apprese che ero di Villarosa, mi informò che egli aveva gestito per
tanti anni un locale proprio nel nostro paese.
Io subito proruppi: - Allora lei è don Alfredo?
Al che il vecchietto obiettò che
era difficile che un giovane della mia fresca età potesse ricordarsi di lui. Io
precisai che avevo solamente tanto sentito parlare di lui, ma ovviamente non
accennai al particolare, che me lo aveva reso indelebile nella memoria,
relativo alla sua non visibile invalidità permanente acquisita nella Prima
Guerra Mondiale.
La sua signora ben presto
rimase vedova.
Quando questa raggiunse un’età ancora
più avanzata suscitò tanto scalpore a Caltanissetta, e non solo nella sua
città, per via di certe visioni di lacrimazione della sua statua della Madonna
di Lourdes, eretta nel giardino della sua villa in contrada Nìscima. Ebbe il
suo momento di notorietà, anche sulla stampa, ma ben presto però ugualmente
raggiunse direttamente in Cielo la Madre di Gesù.
Ho cercato su internet traccia
di questo evento, che io ricordo benissimo, ma ho trovato soltanto il seguente
sito: http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/dio%20cammina%20con%20gli%20uomini.
htm che riporta un libro, del quale cito di
seguito queste poche parole in merito:
“A
Nìscima (Caltanissetta) nella Villa Bella ha pianto moltissime volte la statua
della Madonna di Lourdes: una volta un incredulo, che poi è divenuto mio amico
(Aldo Martorelli di Catania), andato per curiosità sul luogo e presa la statua
fra le mani, se la vide piangere e, naturalmente, subito si converti.”
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