U TIRNU DO ZZI PEPPI
Ebbi
il modo d'incontrare da vicino u zzi
Peppi T. quando egli era già circa ottantenne. Era un vecchietto un po’
strano, perché non lo vedemmo quasi mai avere contatti con individui della sua
generazione: nessuno, dei figli allora viventi e dei nipoti e pronipoti oggi
tra noi, ha manifestato altrettanti segni di inadeguata socievolezza.
Il suo
hobby era il gioco da pignateddra,
una scatolina e due dadi che tirava fuori dalla tasca quando dei ragazzi gli si
avvicinavano e lo invitavano a giocare.
Il
gioco che proponeva ovviamente era di entità monetaria minima perché i giovanissimi
clienti, in quel mio tempo, non possedevano somme con più zeri, ma semplicemente degli spiccioli postbellici in
AM lire di carta.
I giovani
ponevano sullo scalino la somma che mettevano in gioco e u zzi Peppi agitava i dadi dintra
a pignateddra. Quindi la rovesciava sullo stesso gradino e subito le due
parti del gioco passavano a eseguire la somma dei punti rilevati sulle due
facce superiori dei cubetti; poi si ripeteva il rimescolamento di essi nella
scatolina con lo stesso procedimento: se i punti del giocatore giovane
risultavano inferiori a quelli del vecchietto, quest’ultimo intascava la posta giacente
sullo scalino; in caso contrario ovviamente era l’anziano che sborsava l’equivalente
sommetta, con imparzialità.
Un
tardo pomeriggio d’inizio di un’estate del dopoguerra, io con un gruppetto di
amici ci eravamo avviati tranquillamente verso San Calogero, che era allora la meta
abituale delle passeggiate, camminando con estrema sicurezza nel mezzo dello
stradale, su cui eccezionalmente si trovavano a passare veicoli a motore o carretti
a trazione animale, e inoltre perché, pur essendo rispettata la planimetria tracciata
da Rosa Ciotti, non esistevano ancora invitanti marciapiedi, che erano solamente
di terra battuta.
Giunti
all’altezza della porta della chiesetta del Santo, scorgemmo seduto sullo
scalino u zzi Peppi. A questo punto i jucatura spizzati della compagnia si
precipitarono a invogliare il noto giocatore.
Questi ne fu sommamente felice un po’ per scacciare la noia e poi, perché
no, per provare a intascare qualche non prevista liretta.
Si
procedette serenamente fino a quando forse vennero meno i soldini con i quali
continuare le puntate.
I giocatori
si ritirarono dal gioco, che li aveva appassionati tanto, e cominciammo a scummàttiri bonariamente il vecchietto.
A un
tratto uno della compagnia, che forse conosceva la fissazione dell’anziano di
predire l’avvenire, se ne uscì con una domanda, che a me apparve del tutto
fuori luogo, oltre che stupidamente cattiva: - Zzi Pe’, vossì quannu a vo mòriri?
Il
vecchio, senza scomporsi affatto, serenamente rispose: - U quìnnici di maju do millinovicintusittantadui.
Tutti,
dopo aver riflettuto un istante, scoppiammo a ridere perché i venticinque anni
circa che ci separavano dalla lontana data, aggiunti a quelli superati dell’ottuagenario
avanzato, non glieli prevedevamo da vivere ancora.
Fu a
questo punto che io proposi alla compagnia di ricordarci bene di quella data
per verificare in avvenire, se per caso, u
zzi Peppi possedesse realmente tale capacità divinatoria.
Intanto
cercavo di escogitare un sistema sicuro per memorizzare quella predizione alquanto
azzardata. Mi giravo intorno per esaminare la situazione quando gli occhi si
posarono proprio sulla facciata della chiesetta che era stata restaurata da
poco con gesso colorato di rosa in vista della festa del Santo, che era
prossima. Cominciai a muovermi intorno finché non trovai un grosso chiodo,
storto e arrugginito, col quale graffiai il liscio e morbido intonaco con la
scritta: U ZZI PEPPI T. MORIRÀ IL 15
MAGGIO 1972.
Andammo
via certi che il graffito sarebbe durato almeno fin quando la facciata non
fosse stata rifatta, non potendo prevedere che al posto del luogo sacro sarebbe
sorto anni dopo un moderno edificio in cemento armato.
Avevo
quasi dimenticato la poco probabile profezia. Sul finire dell’estate, a
settembre, s’erano ripresi a celebrare i matrimoni, che in quel tempo, per
tradizione tutta villarosana, erano fermamente interdetti in due mesi
dell’anno, maggio e agosto.
I
trattenimenti allora si svolgevano in casa e un’ orchestrina locale allietava
l’evento, il ricevimento e dava ritmo all’ immancabile ballo. Io, quella volta invitato
con i miei genitori al matrimonio d’amici di famiglia, avevo scelto la
compagnia di ragazzi della mia età in prossimità del complessino, il cui
violinista era un amico di mio padre, u
zzi Mariu Pipa, che io ammiravo molto da tanti punti di vista,
principalmente da quelli della bravura musicale e della vivacità di carattere.
Durante
il rinfresco il piccolo gruppo musicale sospese l’esecuzione e u zzi Mariu, tra un biscotto e un
bicchierino di rosolio, volle menzionare un fatto sorprendente accaduto nelle
ultime settimane in paese: un certo Regatuso aveva letto, incisa sulla facciata
della Chiesetta di San Calogero, una scritta che trattava d’un insolito e insensato
argomento relativo alla previsione della morte do zzi Peppi T., tanto che pensò di giocare al Lotto su tutte le
Ruote i tre numeri rilevati sull’ anonima incisione, 15 - 19 - 72, vincendo un
discreta sommetta, che in parte volle destinarla agli amici, presenti alla
scoperta della scritta, invitandoli all’osteria. Ospite d’onore ovviamente fu l’inconsapevole
protagonista, u zzi Peppi T., che
poverino della faccenda non capì niente, ma in compenso fece onore alla tavola,
accettando di buon gradimento.
Mentre
io ero intontito per quelle insolite coincidenze che avevo vissuto in posizione
di primo piano e nello stesso tempo ero attento a ogni parola e commento, u zzi Mariu riprese a stupirci quando
aggiunse che lo stesso terno, ancora non scoperto né giocato, era uscito in
altra “ruota” del lotto la settimana precedente a quello vincente e che un ambo
con due degli stessi tre numeri, ovviamente non vincente, fu estratto nella
settimana seguente in altra terza “ruota” ancora.
Avrei
voluto inserirmi nella discussione e raccontarne il retroscena, ma tacqui
perché sentivo forte il disagio per aver deturpato la liscia facciata da poco rifatta
in onore del Santo.
Tutte
quelle coincidenze non erano certamente poche e io ero molto curioso di sapere
se in avvenire l’ultima, sia pur lontana, si sarebbe potuta avverare.
Poco
tempo dopo invece, u zzi Peppi continuò
Lassù il gioco da pignateddra, con
gli Angioletti.
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