Non ebbi mai
occasione di conoscere personalmente Pinuzza G. e d'apprezzarne la
decantata bellezza, perchè ero ancora ragazzo ed abitavo in un
quartiere lontano dal suo. Però ebbi necessariamente cognizione
della sua chiacchierata vicenda perché la crudele canzoncina, che si
canticchiava in ogni angolo del paese, era nota persino ad innocenti
bambini. Di essa rimasero impresse nella mia memoria un paio di
versi che per decenni risuonavano nelle mie orecchie, forse perchè
citavano il personaggio maschile che, anche se solo di vista,
conoscevo di già:
Pinuzza la G. cchi
facisti?
ccu Carminu D. ti
nni scappasti...
Circa vent'anni fa
venne a scuola per un certificato di studio una concittadina del mio
quartiere, di qualche anno più giovane di me e da tempo trasferitasi
in Palermo. Questa, felice di ritrovarsi sia pur di passaggio nella
segreteria della scuola che aveva frequentato e a contatto con
villarosani, diede la stura ai suoi ricordi che io, avido di storia
popolare, avrei voluto in buona parte registrare al volo.
Al caso di Pinuzza
aggiunse qualche altro verso che sono riuscito a serbare nella
memoria:
Cincu mila liri ti
li purtasti
ma o stessu nne
tavuli durmisti...
I pretendenti della
giovane erano tanti e di ceti sociali diversi, ma il suo cuore era
impegnato ad un giovane avvenente zolfataio, pur egli a me
sconosciuto e che ora indico come Tano. Questi, alla scoppio della
guerra, s'aspettava di giorno in giorno il richiamo militare, così
propose prima a Pinuzza e quindi alle rispettive famiglie,
d'accelerare i tempi del matrimonio.
Gli sposini vissero
in coppia pochi giorni fin quando giunse l'odiata cartolina.
Nei primi tempi
ogni tanto Tano otteneva una licenza o un breve permesso che faceva
per il momento attenuare la tristezza della lontananza. L'unico
conforto per i due innamorati rimaneva la corrispondenza epistolare e
la quasi matematica certezza che la guerra si sarebbe conclusa di lì
a poco, considerate le celeri avanzate degli alleati tedeschi.
Pinuzza poi per
qualche tempo aspettò una lettera che tardava ad arrivare; ogni
mattina “si mittiva e talai” per intercettare il postino ed aver
subito l'eventuale attesa missiva. Poi per molte settimane allungò
invano il collo per scorgere il latore della cartacea felicità;
finalmente una mattina, al colmo della tensione, ebbe in mano quanto
attendeva.
Tano raccontava che
era stato destinato alla campagna di Russia; avanzava verso est su un
lento treno per una ignota e lontanissima destinazione; raccontava
alla cara sposa che non c'era nessun paragone con le distanze di
Sicilia o d'Italia.
Da quel momento la
corrispondenza divenne sempre più rada finchè venne meno per
sempre.
Luglio 1943, gli
anglo-americani sbarcano nella Sicilia centro-meridionale; ci si
rifugia nelle grotte e nelle gallerie di vecchie miniere...
Erano anni tristi
per centinaia di migliaia di spose e madri. Pinuzza non era meno
delle altre, anzi per molti animi sensibili di vicine e parenti era
considerata una sepolta viva e nessuno riusciva a farla uscire di
casa nemmeno per le feste principali, un funerale o una cerimonia in
chiesa.
Addirittura alcuni
per vile egoismo auspicavano che Tano non tornasse più, per potere
un giorno impalmare la giovane vedova; altri ronzavano intorno alla
casetta della sposina per meno nobili motivi.
Due anni ancora
passarono fra le angosce delle attese e le difficoltà dell'esistenza
stentata.
Giunse con la
primavera del 1945 la tanto attesa pace mondiale; a poco a poco
giungevano dai lager tedeschi o dai campi di prigionia
anglo-americani i militi superstiti, ma di Tano in assoluto nessuna
notizia.
Pinuzza rimaneva
sempre più chiusa nel suo tacito dolore.
Si parlava dei
circa ottanta mila prigionieri italiani dispersi nelle steppe
dell'URSS e i familiari di Pinuzza si sforzavano in ogni modo di non
far giungere tali notizie alla sposina sempre più sconsolata e
chiusa nella sua pena.
Molti giovani del
paese cumu lapuna gironzolavano in ogni ora del giorno e della
sera intorno alla casa della giovane al centro della loro attenzione,
sperando di intravederla e, in un modo o l'altro, farle conoscere,
sia pur con una semplice attenzione d'un incrocio d' occhiate, la
loro più o meno onesta intenzione. Altri speravano
nell'intermediazione di qualche amica e arrivavano persino a proporre
un'unione di fatto dal momento che i tempi della morte presunta
rimanevano lontani.
Di certo non
mancavano le anime buone che si dolevano delle afflizioni della
poveretta, ma la loro comprensione non faceva, per nulla, proseliti
nel vicinato.
Nel rione abitava
Carminu D., baldo giovane meno maturo dell'avvenente Pinuzza; egli
tempo dopo avrebbe sposato una gioviale coetanea dalla quale ebbe
bei figlioli, la più giovane dei quali vive in atto a Villarosa.
Una di quelle
tristi mattine del tardo dopoguerra si sparse la voce che Carminu
non si vedeva in giro da qualche giorno. Invece di chiedere alla
notizie alla famiglia si cominciò a creare una piccante storia di
fuga d'amore, di na fujtina.
Subito le ciarliere
del quartiere si misero all'opera e crearono un'orecchiabile
canzoncina impietosa con nomi e cognomi che ebbe la “fortuna” che
non meritava.
Ancora oggi miei
coetanei, e forse altri, più giovani, canticchieranno:
Pinuzza
la G. cchi facisti?
ccu
Carminu D. ti nni scappasti...
Cincu
mila liri ti li purtasti
ma o
stessu nne tavuli durmisti...
eccetera, eccetera...
Pinuzza vittima
vivente di due guerre, della Mondiale e di quella di Cortile, lasciò,
di notte e per sempre, l'ingrato paese.
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