PEPPI SBINTU
e le ridicole
pagliacciate odierne che, offendono le tristezze degli antichi tempi.
Un pomeriggio di qualche anno fa, mi
trovavo alla Stazione ferroviaria di Villarosa per accompagnare mia figlia che
partiva.
Distanti da noi, in atteggiamento di
attesa del treno per Catania, stava sul marciapiede un gruppetto di persone che
conversavano serenamente col Capo Stazione Primo David.
Quando quei signori partirono, il signor
David si fermò a parlare con me e, di sua iniziativa, mi spiegò che si trattava
di villeggianti, nipoti di un nostro compaesano che aveva lasciato Villarosa
tantissimi anni prima, quale emigrante per gli Stati Uniti.
Erano venuti in Italia da turisti, ma
vollero fare una breve sosta a Villarosa, per conoscere il paese d'origine
della famiglia e per respirare, come si suol dire, l'aria nativa del defunto
carissimo nonno.
Intanto, per non arrecare imbarazzo a
probabili sconosciuti parenti, probabilmente ancora qui residenti, avevano
scelto di alloggiare presso una locale pensione.
Il cognome dei turisti notati alla
stazione corrispondeva anche a quello di nostri concittadini, compreso un mio
intimo amico, Pino.
Questi appena intese la mia breve
esposizione, rifletté un po' per scorrere, tra gli emigrati della parentela, quello
che aveva raggiunto gli Stati Uniti…
Improvvisamente esclamò: - Ma certu!... Sicuramenti jerano i niputi do zzi Peppi
Sbintu!
Mi precisò che tale parente era stato
cugino di primo grado di suo padre e che, secondo quanto aveva appreso in
famiglia, era un individuo di carattere gioviale e propenso sempre a rendere
briosa ogni comitiva.
Era ardentemente desideroso di poter
lasciare il duro e deprimente lavoro della miniera ed emigrare in una terra
dove si potessero esercitare attività meno aspre e pericolose.
I tempi passati erano concretamente
duri: il lavoro in atto era mal retribuito, bastava solamente a far buscare il
"pane quotidiano"; spesso i ragazzini erano avviati, dai sei anni in
poi, a carriari cco stirraturi lo zolfo dal fondo della
miniera fino alla superficie; analogamente le femminucce andavano molto spesso
a servizio presso famiglie facoltose, dove buscavano il limitato alimento e
poche volte riuscivano a raccattare qualche leccornia tra gli avanzi della
mensa dei padroni.
Nei primi del '900 Peppe Sbintu riuscì
nel suo intento, lasciando l'amato paese.
Quando si fu ambientato nella lontana
terra, cominciò a esortare a raggiungerlo il caro cugino, padre di Pino:
questo, valente muratore e genitore di nutrita prole, non volle lasciare il luogo
dov'era nato e cresciuto.
La corrispondenza fra i due rimase
assidua per vari decenni, tanto che Pino, ultimo dei figli, sentiva vicino lo
sconosciuto zio: lo ammirava per le briosità dei tempi giovanili che papà
raccontava, e guardava attentamente le fotografie e le cartoline illustrate che
spesso ricevevano per posta.
Intanto io trovavo qualcosa di strano in
quel cognome, unico in tutto il paese, così chiesi al mio amico un chiarimento.
Pino sorrise e mi precisò che quella del
parente era na ngiuliapersonale, acquisita in gioventù.
Si suole dire che non si vive di solo
pane e tanto corrisponde al vero; ci sono però, fra gli innumerevoli bisogni,
alcuni che ai tempi di oggi farebbero sorridere a solo enumerarli: allora era
necessario avere molta pazienza nell'attendere che uno di essi ci arrivasse fra
le mani.
Ne cito uno solo, che è confacente
all'argomento di cui tratterò.
Si tratta di un proverbio decaduto,
tanto che oggi potrebbe sembrare una beffa, ma è ancora presente nelle varie
raccolte tramandateci dai nostri saggi progenitori: Sarba la pezza ppi quannu arriva lu pirtusu. A tal proposito, sento il dovere di
citare mia nonna Angelina, che ogni qual volta citava un proverbio,
aggiungeva: "…e si nunn'era vero, l'anticu nun
lu diciva".
Nelle situazioni
difficili del passato comprare un vestito era un serio problema: spesso gli
sposi poveri, persino al matrimonio comparivano col vestito prestato loro da
comprensive persone, che umanamente ne percepivano la seria
difficoltà.
Nella mia infanzia vivemmo il triste
periodo della guerra e del dopoguerra che costrinse, fra l'altro, la mia mamma,
come ho trattato in altro testo, a confezionarmi uno sfortunato vestitino,
confezionato con il fodero, in tela gialla, della sua macchina per cucire.
Ricordo pure che la stessa mia cara
donna di casa, mentre una mattina si era affacciata al balcone per stendere
pochi panni e indossava un vestito non di tutti i giorni, fu apostrofata
benevolmente dalla dirimpettaia Adelina, con queste parole:"Quannu u povìru si
vesti di lussu si vidi ca je arrivatu all'ussu".
Quello fu un periodo passeggero: grazie
a Dio, giunse poco dopo il successivo tempo migliore, che passò presto in
quello che fu battezzato "boom economico".
Nei tempi di Peppi Sbintu non si potevano immaginare tali
riprese economiche in patria: di conseguenza, fra i cenci che capitavano alla
mano, si conservava il meno consunto, per l'inevitabile momento in cui si
sarebbe rivelato necessario a rattoppare il buco in qualche indumento.
Un sabato di pomeriggio di fine '800,
gli amici di Peppinotarono che il già rilevato buco nei pantaloni del loro brioso amico, si
era allargato oltre i limiti accettabili: perciò cominciarono a prenderlo in
giro, esponendogli che c'era il pericolo che l' "uccello" trovasse
una facile la via di fuga.
Peppi li riassicurò che il loro timore era inammissibile, poiché il volatile cui
loro facevano cenno, era saldamente ben radicato.
Subito fecero capolino altre
insinuazioni e Peppe aggiunse che, al massimo, la nuova maggiore estensione
della fenditura avrebbe favorito l'agevole sbintu del prodotto gassoso che ogni creatura vivente produce in basso.
Risata generale: da quel momento perse
il suo legittimo cognome e si ritrovò a esser chiamato Peppi
Sbintu, non solamente dagli amici, ma anche d'altri paesani.
Ogni qual volta si parlava del
personaggio divertente, pur emigrato in America, si utilizzava col nome
proprio, anche il nomignolo, che egli stesso si era appioppato.
Sono passati parecchi decenni dalla
dipartita di Peppi Sbintu da questa Terra, non di meno la
generosa visita a Villarosa dei suoi nipoti americani, ha fatto riaffiorare,
per bocca del mio amico Pino, l'antica 'ngiulia del loro
vivace nonno.
Io stesso non avrei
fatto caso alla riemersione dell'anticangiulia, se non mi
fosse capitato, da qualche anno in qua, di vedere in giro maturi giovani con
pantaloni artificiosamente strappati, con piena cognizione e risolutezza.
Si cominciò qualche decennio fa a
grattare con la carta vetrata i pantaloni di jeans e… sfrega oggi e sfrega
domani, gli sciocconi del nostro tempo sono arrivati al massimo …dellosbintu.
Oggi mi affido alla collaborazione intenzionale dei lettori, perché
contribuiscano a far decadere tale stupida tendenza del momento, che offende
quanti subirono, ai tempi della fame più nera, l'involontaria e non meritevole
restrizione.